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Economia

Pensioni, Damiano “Riprendere il confronto sulla previdenza”

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ROMA (ITALPRESS) – Sul tema pensioni Cesare Damiano, presidente dell’associazione Lavoro&Welfare ed ex ministro del lavoro, ritiene che “sarebbe estremamente positivo riprendere il confronto sulla previdenza”, pur consapevoli del fatto che “si dovrà dare priorità alla tutela dei settori più colpiti dalle conseguenze della guerra”. Per Damiano “è interesse di tutti superare le rigidità della legge Monti-Fornero, mano a mano che ci avviciniamo al sistema interamente contributivo, senza dimenticare il tema della rivalutazione degli assegni pensionistici nell’attuale momento di consistente ripresa dell’inflazione”.

Damiano, prima la pandemia e ora la guerra. Le riforme sembrano temi finiti di lato, che ne sarà di quella delle pensioni?

Siamo nel bel mezzo di una guerra tragica che riguarda, in primo luogo, tutti i Paesi dell’Unione europea perché si sta consumando alle nostre porte. Una guerra che investe i rapporti economici e sociali tra l’Europa, la Russia e l’Ucraina, ma che coinvolge il mondo intero. Dovremmo essere tutti consapevoli del fatto che l’agenda politica, economica e sociale, subirà dei profondi cambiamenti. Tra le vittime di questa situazione potrebbero esserci gli interventi a sostegno dello Stato sociale e il potere d’acquisto di salari e pensioni.
E’ però positivo il fatto che il ministro dell’Economia, Daniele Franco, abbia accennato nelle scorse settimane alla necessità di affrontare il tema delle pensioni che sembrava scivolato fuori dall’agenda delle priorità. Questa nuova disponibilità si somma alla nota sensibilità politica sui temi sociali del ministro Orlando. Il confronto avviato alcuni mesi fa su questo argomento con il sindacato nel tavolo politico con Draghi, Orlando e Franco e, successivamente, al tavolo tecnico istituito dal ministro Andrea Orlando presso il ministero del Lavoro, ha già consentito di tracciare un primo e provvisorio perimetro di intervento su flessibilità, giovani, donne e pensioni complementari. Quindi, pur consapevoli del fatto che si dovrà dare priorità alla tutela dei settori più colpiti dalle conseguenze della guerra, riteniamo che sarebbe estremamente positivo riprendere il confronto sulla previdenza: è interesse di tutti superare le rigidità della legge Monti-Fornero, mano a mano che ci avviciniamo al sistema interamente contributivo, senza dimenticare il tema della rivalutazione degli assegni pensionistici nell’attuale momento di consistente ripresa dell’inflazione.
Il tavolo politico, come ho accennato poco fa, aveva fornito indicazioni importanti individuando le tematiche essenziali: la flessibilità; la particolare attenzione da dedicare ai lavoratori fragili, cioè giovani e donne; il rilancio della previdenza complementare. Individuati i temi si era anche deciso di istituire una commissione tecnica con il compito di approfondire tutti questi argomenti, al fine di fornire al tavolo politico le indicazioni necessarie. Cosa che è stata realizzata presso il Ministero del Lavoro.

Quali sono state le ipotesi su cui ha lavorato il tavolo tecnico?

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Il tavolo tecnico ha svolto una serie di incontri con il sindacato e ha terminato una prima fase del suo lavoro esaminando i singoli argomenti con reciproca soddisfazione delle parti.
In quella sede abbiamo maturato un orientamento comune, non ancora punti di merito.
Il primo aspetto ha riguardato il tema della flessibilità, sicuramente il più delicato e di più difficile soluzione. Per affrontarlo abbiamo diviso la platea dei lavoratori in tre parti: la prima riguarda i lavoratori ancora con il sistema retributivo (la vecchia generazione); la seconda riguarda la platea mista retributiva-contributiva (la generazione di mezzo); la terza, infine, è la platea totalmente contributiva ( i più giovani). La prima platea, secondo una stima fornita dall’Inps, era composta al 31 dicembre 2020 da 297mila soggetti. Un anno dopo quella stessa platea si era ridotta a 193mila unità. Un calo del 35%, con una diversa velocità tra uomini e donne: meno 44% tra i lavoratori e meno 24% tra le lavoratrici. Se il trend di diminuzione registrato in questo arco temporale dovesse mantenersi per il futuro è del tutto evidente che questa platea, formata da lavoratori che avevano maturato almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 (Legge Dini), si ridurrà ulteriormente fino alla sua scomparsa definitiva. Infatti presumiamo che, sia a causa delle pensioni di vecchiaia, fissate a 67 anni di età , sia a causa di tutte le formule di anticipo pensionistico previste, da Quota 102 a Opzione Donna, prima o poi ed in breve tempo tutti questi soggetti accederanno alla pensione, a meno di casi particolari.

La seconda platea sembra quella più corposa e anche la più complicata da affrontare.

Esatto. La seconda platea è quella su cui appuntare maggiormente la nostra attenzione: si tratta di lavoratori che alla data del 31 dicembre 1995 non avevano raggiunto i famosi 18 anni di contributi, come prevede la riforma Dini, e che quindi passavano al calcolo contributivo dal primo gennaio del 1996. Secondo un calcolo dell’Inps, nel caso in cui questi lavoratori che hanno una parte di pensione calcolata con il sistema retributivo, fino a un massimo di 17 anni di contributi, dovessero convertire quegli anni da retributivo a contributivo, la diminuzione di valore del loro assegno pensionistico arriverebbe a una punta massima del 18,4%. Per fare un altro esempio: nel caso di lavoratori con appena 6 anni di contributi versati con il sistema retributivo se questi anni di contributi fossero convertiti nel sistema contributivo, la penalizzazione sarebbe di circa il 10%. Stiamo sempre parlando di una simulazione che prevede un anticipo dell’età pensionistico a 64 anni con almeno 20 anni di contribuzione.

In questa categoria rientrano diverse tipologie di lavoratori. Chi svolge lavori gravosi non può essere considerato come chi lavora in ufficio. A quali soluzioni si è pensato?

Chi svolge un lavoro “normale”, un impiegato amministrativo, potrebbe avere la penalizzazione di cui abbiamo parlato in precedenza, alla quale potrebbe essere applicato convenzionalmente un tetto al fine di diminuirne l’impatto. Mentre per chi svolge invece lavori usuranti o gravosi è già prevista una uscita pensionistica anticipata senza penalizzazioni. I lavori usuranti, disciplinati nel 2007, sono attività che si svolgono in particolari condizioni: in miniera, in torbiera, nelle cave, nel sottosuolo e così via. Sono poche migliaia le persone che finora sono rientrate in queste categorie.
C’è anche un’altra agevolazione, l’Ape sociale, che non è un vero e proprio anticipo pensionistico perché si tratta di un assegno di accompagnamento verso la pensione con un tetto di 1500 euro lordi, circa 1200 euro netti mensili, non indicizzato e senza reversibilità: riguarda 215 mansioni censite e inserite nell’ultima legge di Bilancio che ha allargato la precedente platea. Si tratta anche in questo caso di lavori particolarmente impegnativi come il conduttore di impianti e macchinari per l’estrazione dei minerali, i fonditori, i saldatori, i lattonieri, i calderai e così via. Quindi, per quanto riguarda il tema della flessibilità, avendo noi suddiviso la platea complessiva in tre parti, possiamo arrivare a questa conclusione: chi appartiene alla vecchia generazione che ha un calcolo tutto retributivo (fino al 31 dicembre 2011) è numericamente in via di sparizione; coloro che invece ricadono in un calcolo tutto contributivo, perché hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996, non hanno problemi di ricalcolo. Rimane la platea di mezzo, che ha un regime misto per il quale, mentre il Governo propone di convertire la parte retributiva in calcolo contributivo, con le penalizzazioni massime che abbiamo ricordato, a questa soluzione i sindacati si oppongono. Le loro proposte, infatti, vanno da un maggiore anticipo dell’età a partire dai 62 anni, ad una penalizzazione più ridotta.

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Damiano, può tracciarci un quadro di tutte le varie formule a cui si può ricorrere per andare in pensione prima dei 67 anni di età?

Partiamo da un dato: a fronte dell’età legale del pensionamento di vecchiaia che è di 67 anni, secondo alcune ricerche l’età effettiva in Italia sarebbe di appena di 62 anni: cifra che viene contestata dai sindacati. Questo anticipo è sicuramente da ricondurre alle varie forme di flessibilità esistenti: lavori usuranti, Ape sociale, Ape volontaria, Ape rosa, Quota 102, Opzione Donna, Iso-pensione, Contratto di espansione, Anticipo pensionistico per i lavoratori di aziende in crisi, Rita (Rendita integrativa temporanea anticipata) e i 42 anni e 10 mesi di contributi per i cosiddetti lavoratori precoci (un anno in meno per le donne). Sicuramente si renderebbe necessaria una razionalizzazione di questo sistema.

Giovani e donne: le categorie più penalizzate dal mercato del lavoro. Come si rende davvero “giusto” un sistema che oggi fa acqua da tutte le parti?

Partiamo dai giovani: sappiamo che con la Legge Monti-Fornero coloro che avranno la liquidazione della loro pensione completamente con il contributivo (cioè chi ha iniziato a lavorare dal gennaio 1996) potranno, all’età di 64 anni, accedere alla pensione, ma ad una condizione: che l’importo dell’assegno sia almeno 2,8 volte il minimo pensionistico (pari a circa 500 euro). In poche parole, l’importo lordo dovrà essere almeno di 1400 euro. Poiché il tasso di sostituzione stipendio-pensione per le giovani generazioni si aggira intorno al 50- 60% vuol dire aver avuto nel corso della vita lavorativa, mediamente, uno stipendio lordo mensile di circa 2500 euro, cosa difficilmente raggiungibile per i giovani del lavoro povero perché discontinuo e sottopagato. Una sorta di beffa. Per questo noi abbiamo chiesto di poter abbassare questa soglia da 2,8 volte a 1,5 volte. Stiamo parlando di pensioni che sarebbero in molti casi molto basse e dunque da integrare.

Come immagina si possano integrare per evitare di avere intere generazioni di anziani indigenti?

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Al tavolo tecnico abbiamo avanzato alcune proposte: si può agire valorizzando i contributi e riconoscendo, ad esempio, ogni anno di lavoro, per coloro che saranno al di sotto di una soglia di pensione dignitosa, con un anno e mezzo di contributi, ai quali sommare i contributi degli anni di formazione certificata, la nascita dei figli – un anno di contributi per figlio -, gli anni della Naspi, in modo tale che la somma dei contributi maturati durante il lavoro e fuori dal lavoro possa far raggiungere un livello adeguato di pensione. Come ho già detto, si potrebbero utilizzare anche altre modalità: c’è chi suggerisce di utilizzare lo zoccolo di base dei 500 euro come lo sgabello sul quale sedersi e dal quale calcolare i contributi con l’obiettivo di arrivare ad una pensione che vada dagli 800 euro in su, non uguale per tutti perché dovrà tenere conto dei contributi effettivamente versati, al fine di non indurre le persone a pensare che tanto, comunque vada, una pensione dignitosa c’è e i contributi non servono, incentivando in questo modo il lavoro nero.

Un altro modo per incrementare il reddito una volta in pensione è il ricorso alla previdenza complementare. Di questo avete discusso?

Sì, abbiamo discusso della possibilità di ripristinare la regola del silenzio assenso per un periodo di almeno sei mesi, anche perché quelli che mancano all’appello delle iscrizioni sono soprattutto i giovani, che sono coloro che possono trarne maggiore vantaggio da questo secondo pilastro previdenziale.

I soldi per fare tutto questo ci sono?

Ho tracciato il quadro complessivo del lavoro che si è svolto sin qui al tavolo tecnico. Naturalmente questa architettura deve trovare il suo equilibrio ed essere supportata da risorse significative che in questo momento non sarà facile reperire. La priorità è quella di riprendere il confronto tra Governo e sindacati sul tema della previdenza nell’ambito della scelta, confermata dal premier Draghi, di rendere strutturale il confronto con le parti sociali al fine di affrontare in modo efficace l’attuale situazione di emergenza economica e sociale.
(ITALPRESS).

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Istat, a maggio l’indice di fiducia di imprese e consumatori torna ad aumentare

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ROMA (ITALPRESS) – A maggio 2025 sia il clima di fiducia dei consumatori sia l’indicatore composito del clima di fiducia delle imprese sono stimati in aumento (da 92,7 a 96,5 e da 91,6 a 93,1 rispettivamente). Lo rende noto l’Istat. Tra i consumatori, si evidenzia un complessivo miglioramento di tutte le opinioni, soprattutto quelle sulla situazione economica generale: il clima economico sale da 89,6 a 97,5, il clima personale aumenta da 93,9 a 96,1, quello corrente cresce da 95,4 a 98,6 e quello futuro passa da 89,1 a 93,7.

Con riferimento alle imprese, segnali positivi provengono da tutti i settori ad eccezione delle costruzioni. Più in dettaglio, il clima di fiducia delle imprese dei servizi di mercato sale da 91,4 a 94,5 e quello del commercio al dettaglio aumenta da 101,8 a 102,8. Nel manifatturiero l’indice aumenta passando da 85,8 a 86,5 mentre nelle costruzioni si registra un calo da 103,6 a 102,2.

Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura tutte le componenti migliorano mentre nelle costruzioni i giudizi sugli ordini rimangono stabili e le aspettative sull’occupazione presso l’azienda diminuiscono. Passando al comparto dei servizi di mercato, si evidenzia un miglioramento di tutte le componenti; tra i settori coperti dall’indagine si segnala una marcata crescita della fiducia tra gli imprenditori dei servizi turistici, recuperando il forte calo del mese precedente.

Nel commercio al dettaglio peggiorano solo le aspettative sulle vendite; a livello di circuito distributivo, l’indice scende nella distribuzione tradizionale mentre aumenta nella grande distribuzione.

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“A maggio 2025 l’indice di fiducia delle imprese torna ad aumentare dopo tre mesi consecutivi di calo riportandosi appena sotto il livello dello scorso marzo. Il complessivo miglioramento è dovuto principalmente al comparto dei servizi di mercato e, in misura più contenuta, a quello del commercio al dettaglio e della manifattura – commenta l’Istat -. La fiducia dei consumatori cresce nuovamente dopo il calo registrato lo scorso mese: tutte le opinioni sono improntate al miglioramento, soprattutto i giudizi e le aspettative sulla situazione economica del Paese”. 

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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Il Sud in crescita per l’Istat “Nel 2023 Pil doppio rispetto alla media nazionale”

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ROMA (ITALPRESS) – “Nel 2023, il Pil in volume è cresciuto in Italia dello 0,7% rispetto all’anno precedente; la crescita è stata in linea con la media nazionale nel Nord-ovest (+0,7%), maggiore nel Mezzogiorno (+1,5%) e minore al Centro (+0,3%) e al Nord-est (+0,4%). Tra le regioni, la crescita più consistente si è osservata in Sicilia e in Abruzzo (+2,1% in entrambe), seguite da Liguria (+1,7%) e Valle d’Aosta (+1,4%). Il Pil è risultato sostanzialmente stabile in Emilia-Romagna, nella provincia autonoma di Trento, in Toscana e in Umbria”.

Lo ha detto Stefano Menghinello, direttore del Dipartimento per le statistiche economiche, ambientali e conti nazionali dell’Istat, nel corso di un’audizione parlamentare.

“La contrazione più ampia si è registrata in Friuli-Venezia Giulia -0,5%) el 2023, il Pil medio pro-capite nelle regioni del Nord-ovest risulta pari a 44,7 mila euro, poco meno del doppio rispetto al Mezzogiorno (23,9 mila euro) e 8,6 mila euro al di sopra della media nazionale (36,1 mila); nel Nord-est ammonta a 42,5 mila euro e nel Centro a 38,6 mila. A livello regionale, la provincia autonoma di Bolzano registra il Pil pro-capite più elevato (59,8 mila), quasi il triplo di quello minimo registrato in Calabria (21mila)”, ha aggiunto.

“Nell’ambito delle stime regionali è possibile calcolare in termini di valore pro-capite il reddito disponibile delle famiglie e la componente che sintetizza le operazioni di redistribuzione, ovvero l’effetto netto di imposte correnti e contributi sociali (a carico delle famiglie), prestazioni sociali ricevute e altri trasferimenti netti – ha detto ancora Menghinello -. Nel 2023, a livello nazionale, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è stato pari a 22,4 mila euro per abitante. Nelle regioni del Nord-ovest ha raggiunto i 26,3 mila euro, nel Mezzogiorno i 17,1 mila. Le regioni con i maggiori differenziali positivi rispetto alla media nazionale sono la provincia autonoma di Bolzano (+9mila euro) e la Lombardia (+4,9 mila euro). Le regioni del Mezzogiorno presentano livelli di reddito disponibile più contenuti: il differenziale rispetto alla media nazionale è ridotto in Abruzzo (-2,6 mila euro) e più marcato in Campania (-5,9 mila euro) e in Calabria (-6,2 mila euro)”.

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– Foto IPA Agency –

(ITALPRESS)

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Dazi all’Europa, i “tira e molla” di Trump confondono gli italiani

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ROMA (ITALPRESS) – Nei giorni scorsi, il Presidente americano Donald Trump ha annunciato l’applicazione di dazi del 50% sui prodotti europei a partire dal 1° giugno. Dopo un colloquio telefonico con la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, Trump ha deciso di congelare l’applicazione di queste tariffe e di posticipare la loro introduzione al 9 luglio.

Questo tira e molla e i continui proclami con conseguenti ritrattazioni da parte del Presidente USA confondono la popolazione e, ad oggi, i cittadini italiani non riescono ad avere un’idea chiara sull’effettiva applicazione di dazi per l’UE. Infatti, il campione si divide tra chi pensa che al 9 luglio Trump manterrà la promessa (33,7%) e chi, invece, crede ci sarà un nuovo rinvio (37,2%). Il piano economico del Presidente USA, quindi, risulta confuso per i cittadini italiani: se da un lato il 44,9% ritiene che Trump abbia una strategia economica chiara e precisa, dall’altro c’è un 41,9% che giudica le sue scelte improvvisate e senza un disegno specifico.

Quello che è sicuro, però, secondo l’opinione della maggioranza assoluta degli italiani, è che l’economia e le istituzioni europee, al momento, non sarebbero in grado di contrastare gli eventuali dazi applicati dal Presidente Trump.

Dati Only Numbers per Porta a Porta – Realizzato il 26/05/2025 con metodologia CATI/CAWI su un campione di 1.000 casi rappresentativi della popolazione italiana maggiorenne

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– foto screenshot Euroweek –

(ITALPRESS).

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