Cronaca
Il welfare aziendale una risposta al crollo demografico in Italia
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3 anni fa-
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Redazione
MILANO (ITALPRESS) – Un’emergenza tra le più drammatiche e cogenti, eppure tra le meno raccontate e affrontate, anche dalla politica. Il crollo demografico che sta colpendo l’Italia, però, non è certo un fenomeno che può sorprendere, non è infatti una novità semmai una tendenza e per questo non deve cogliere impreparati. Se si parte dal presupposto che ogni componente della società, dagli individui alla collettività organizzata, giochi un ruolo decisivo nella partita della natalità, allora diventa subito chiaro che attraverso il welfare aziendale questo problema può trovare risposta. Per fortuna, le imprese si stanno dimostrando sempre più consapevoli. Riflessioni che sono state affrontate durante l’evento “La trappola della natalità. Il welfare aziendale per uscirne”, ospitato da Intesa Sanpaolo nella sede di via Monte di Pietà a Milano. L’appuntamento prende il titolo dal quasi omonimo libro dei giornalisti Luca Cifoni e Diodato Pirone (“La trappola delle culle. Perchè non fare figli per l’Italia è un problema e come uscirne”, Rubbettino, 2022): a discutere con loro sono intervenuti Luciano Malfer, direttore dell’Agenzia per la Coesione Sociale della Provincia autonoma di Trento, Patrizia Ordasso, responsabile degli Affari sindacali di Intesa Sanpaolo, Agnese Vitali, professore associato di demografia all’università di Trento, Maurizio Zordan, Ceo dell’azienda vicentina Zordan di Valdagno.
In Italia, spiega Pirone, “siamo passati da 60.5 milioni di abitanti di 7-8 anni fa ai meno di 59 milioni attuali, arriveremo a circa 55 milioni entro la fine del decennio e siamo destinati a ridurci, alla fine di questo secolo, a 37-38 milioni. Stando come stanno le cose non abbiamo le capacità di recuperare. E’ un’ottima notizia che il nostro paese sia uno dei più longevi nel mondo occidentale però questo effetto, accompagnato dall’effetto sfavorevole lato nascite, crea uno squilibrio”.
Uno squilibrio sicuramente amplificato dal Covid nel 2020, fatto sta che nel 2021 in Italia sono nati 399.000 bambini contro i 740.000 nati in Francia. Gli italiani fanno meno figli, ma soprattutto – a causa del crollo delle nascite nei decenni scorsi – sono pochi i genitori potenziali. Ecco quindi come siamo finiti nella ‘trappola demograficà, avvisano gli autori: una spirale distruttiva che porta con sè un’economia più debole, imprese poco innovative, pensioni insostenibili, scuole chiuse e territori desertificati. In una parola, il declino. Il libro prova a spiegare cosa è successo e propone nove azioni per stimolare persone, politica, amministrazioni e aziende a recuperare la necessaria “connessione emotiva con la società” e, per questa via, a investire sulla natalità.
“Il welfare aziendale è fondamentale per affrontare tutte le esigenze delle persone che lavorano nel Gruppo – racconta Patrizia Ordasso, responsabile degli Affari sindacali di Intesa Sanpaolo a Italpress – noi abbiamo un sistema di welfare integrato che quindi analizza i vari bisogni e cerca di andarvi incontro. Sul tema della genitorialità, negli anni abbiamo fatto iniziative innanzitutto per favorire la fruizione dei permessi da parte dei padri perchè è un modo anche per agevolare il lavoro femminile e permettere ai padri di aiutare nella cura dei figli. Perciò – prosegue – abbiamo esteso i permessi di legge nel caso di nascita di un figlio, abbiamo maggiorato la retribuzione per i congedi parentali per i padri prevista dalla legge e poi abbiamo creato dei pacchetti aggiuntivi nel caso di nascita di figli: per i giovani che entrano nel gruppo Intesa Sanpaolo, entro i primi dieci anni dall’assunzione c’è un bonus figli, un bonus casa e abbiamo deciso da quest’anno, assieme ai sindacati, di versare tutti gli anni un bonus in previdenza perchè bisogna pensare anche al futuro dei figli sin da quando nasconò.
Poi, aggiunge, “abbiamo una serie di iniziative fatte non direttamente da Intesa Sanpaolo ma dal fondo sanitario che agisce in funzione di prestazioni sanitarie, dal circolo ricreativo che organizza attività e supporto ai genitori del gruppo sin da quando i bambini sono piccoli, quindi anche la possibilità di recuperare babysitter, abbiamo asili aziendali e convenzioni con asili per supportare i genitori, inoltre cerchiamo di analizzare con i sindacati le situazioni emergenti”.
Sono misure che i dipendenti dimostrano di apprezzare: “Sì, è un’esigenza che i colleghi colgono e sfruttano. Solo a maggio, ad esempio, abbiamo esteso i congedi per i padri anche ai figli dei coniugi, inclusi quelli delle unioni civili, perchè le nostre famiglie sono in movimento. Solo ieri abbiamo firmato degli accordi per estendere permessi e agevolazioni economiche per figli anche agli affidi temporanei. Erano già ricompresi gli affidi preadottivi, ieri abbiamo esteso anche ai temporaneì. Quanto allo smart working, ‘noi lo facciamo dal 2015 ormai in modo diffuso. Siamo in trattativa con i sindacati per una revisione degli strumenti di lavoro flessibile e la possibilità di articolare l’orario in modalità che vadano incontro alle necessità delle famigliè.
‘E’ difficile uscirne senza pianificare – evidenzia Cifoni parlando con Italpress – il concetto è che serve agire prima di tutto sul fronte culturale, prendere atto che c’è questa emergenza. Questa è la prima azione da fare. E poi occorre mettere insieme gli strumenti coi vari attori. Lo stato deve fare la sua parte col sostegno economico che è importante ma da solo non basta. La società deve fare la sua parte e le imprese hanno un ruolo decisivo. Ci sono – prosegue – anche alcuni fattori culturali come il ritardo che abbiamo nel nostro paese sulla divisione dei ruoli tra uomo e donna all’interno della famiglia, un fatto che la letteratura scientifica dimostra che scoraggia la natalità perchè questa viene caricata spesso sulla parte femminile. Poi ovviamente c’è un tema di immigrazione, che è delicato ma va affrontatò.
Non meno “c’è un tema di lavoro femminile perchè laddove ce n’è un più alto tasso anche la natalità è migliore” e uno che riguarda “le nuove famiglie: le famiglie tradizionali sono una minoranza in questo paese perchè recentemente le unità familiari formate da una sola persona hanno superato la tipologia coppie con figli, quindi dobbiamo prendere atto di questa situazione e affrontarla nel mondo realè.
Il mondo reale, ragiona ancora Cifoni, è quello che interpella e dovrebbe dunque nutrire l’agenda politica: ‘Anche nella recente campagna elettorale c’è stata una certa attenzionè al tema della natalità. Dopodichè, però, “la politica spesso ha un orizzonte ristretto che va ai prossimi sei mesi, al prossimo anno, quando va bene alla legislatura, mentre la demografia di per sè ha un orizzonte decennale o anche di più. Serve quindi riuscire a capire che alcuni problemi vanno affrontati in maniera strutturale e non improvvisato, con tempi che purtroppo a volte non coincidono con quelli della politica. Ogni interesse, tuttavia, vista la situazione in cui versiamo, è positivò. “L’aiuto dello Stato è strategico ma non è sufficiente”, rimarca Pirone, secondo il quale è essenziale il contributo di “ogni molecola della società, i sindaci con la costruzione di più case popolari, le famiglie con il ritorno a una cultura della protezione dei bambini, le imprese che devono aiutare i dipendenti che desiderano procrearè.
E quindi il monito: “Ogni settore della società si deve sentire mobilitato. Dobbiamo capire che, se continuiamo a diminuire come popolazione, i danni saranno rilevanti e riguarderanno tutti”.
“I segni c’erano – interviene a rinforzo la demografa di Trento Agnese Vitali – e la situazione si poteva prevedere, ora finalmente se ne inizia a parlare”. Vitali illustra la “previsione inquietante” proposta da Istat un mese fa sul futuro della popolazione, con più anziani e famiglie più piccole, ma nota poi che “c’è margine per le politiche pubbliche per intervenire”. E cita il caso virtuoso delle province autonome di Trento e Bolzano, “uniche due a fecondità non bassa”, dove addirittura la media di figli nati per donna ha superato il dato di Svezia e Danimarca. Com’è stato possibile? I motivi sono molteplici, Vitali ne menziona tre: l’occupazione femminile più alta, la copertura di servizi per la prima infanzia estesa più che altrove, un mix di politiche pubbliche che funziona, dall’assegno unico universale che “esiste da molto tempo” ai congedi facoltativi per padri. Malfer, esperto di politiche famigliari tra i più accreditati in Europa, conosce bene la realtà trentina e sintetizza: “Oggi in Trentino il 40% della popolazione dipendente lavora in aziende che hanno adottato piani per la conciliazione del tempo vita-lavoro. I benefici si vedono dentro l’azienda” ma non solo perchè se “aumenta occupazione femminile, aumenta la natalità”, il che si traduce anche in un “fattore di competitività” per le imprese. Concorda Zordan, che rilancia: “Le aziende devono entrare in migliore connessione con il paese. Se queste si mettono in sintonia con la cultura del territorio, le persone non le rifiuteranno certamentè.
– foto xa1/Italpress –
(ITALPRESS).
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MILANO (ITALPRESS) – “La crisi che oggi colpisce le librerie non è soltanto economica. È culturale. E non si risolve con misure una tantum o interventi emergenziali. Per difendere la lettura serve una risposta strutturale, un vero patto culturale. In Lombardia abbiamo scelto di agire”. Lo ha detto Francesca Caruso, assessore alla Cultura di Regione Lombardia, commentando gli ultimi dati sull’andamento del mercato editoriale italiano.
“In Lombardia – sottolinea Caruso – non consideriamo la lettura un lusso né un consumo. La consideriamo un diritto. E come tale lo difendiamo. Con il Patto Regionale per la Lettura stiamo costruendo una rete ampia, che coinvolga biblioteche, scuole, carceri, ospedali, enti locali, associazioni e cittadini. Vogliamo portare i libri anche là dove oggi non arrivano: nei quartieri, nelle case, nelle comunità fragili”. Nell’ultimo anno Regione Lombardia ha finanziato 71 progetti dedicati alla promozione della lettura, con uno stanziamento complessivo di 800.000 euro.
Sono stati coinvolti oltre 500 operatori culturali in attività formative e iniziative sul territorio. Una strategia che si innesta sul lavoro capillare dei 40 sistemi bibliotecari lombardi, attivi in tutte le province, e di una rete di oltre 1.600 biblioteche.
“La Lombardia – ha ricordato l’assessore – è la prima regione italiana per produzione editoriale: qui si stampa quasi il 50% dei libri pubblicati a livello nazionale. Ma questo primato non ci basta. Vogliamo che la lettura torni a essere parte della quotidianità. Che le librerie siano luoghi vissuti, aperti, riconosciuti come spazi culturali, non solo commerciali. Servono politiche lungimiranti e alleanze educative, non ‘soluzioni tampone’. Non possiamo permettere che la lettura diventi un privilegio per pochi – ha concluso – . La Lombardia ha fatto la sua parte e continuerà a farla. Ogni libreria che chiude è una voce che si spegne. E il silenzio, in cultura, è la vera sconfitta”.
-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).
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