Cronaca
Irpef, un conto da oltre 172 miliardi
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4 anni fa-
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Redazione
ROMA (ITALPRESS) – Il totale dei redditi prodotti nel 2019 e dichiarati nel 2020 ai fini IRPEF ammonta a 884,484 miliardi, per un gettito IRPEF generato di 172,56 miliardi di euro (155,18 per l’IRPEF ordinaria, 12,31 per l’addizionale regionale e 5,07 per l’addizionale comunale). Aumentano dunque, seppur modestamente, sia i redditi dichiarati sia il gettito ma resta quasi invariata – salvo piccoli scostamenti – la percentuale di cittadini che sopporta la gran parte del carico fiscale: al netto del bonus Renzi da 80 euro, il 21,18% dei contribuenti con redditi oltre i 29mila euro lordi corrisponde il 71,64% dell’intera IRPEF. E’ quanto emerge dall’ultimo Osservatorio Itinerari Previdenziali dedicato alle entrate fiscali e al finanziamento del welfare. Presentata al CNEL nel corso di un convegno promosso in collaborazione con CIDA, anche quest’anno tra i sostenitori della ricerca, l’indagine realizza su base annuale un’analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi IRPEF, di quelle aziendali relative all’IRAP, delle imposte dirette e indirette. Con l’obiettivo di ottenere indicatori utili a comprendere l’effettiva situazione socio-economica del Paese e a verificare la sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema di protezione sociale italiano, che nel 2019 solo per sanità, assistenza sociale e welfare degli enti locali è costato 241,018 miliardi.
«In sostanza, in assenza di contributi di scopo, per finanziare queste tre voci di spesa – ha commentato Alberto Brambilla, curatore del volume insieme a Paolo Novati – sono occorse tutte le imposte dirette, tanto che per le altre funzioni statali, come scuola, sicurezza, e così via, sono rimaste solo imposte indirette, accise e debito. Un onere molto forte che, lungi dal frenare il continuo incremento della spesa assistenziale (tra 2008 e 2019 si è passati da 73 miliardi a oltre 114 miliardi con un tasso di crescita annuo del 4,3%, molto superiore al PIL nominale), pesa sullo sviluppo del Paese, su cui ora incombono oltretutto i pesanti effetti, anche in termini di flussi contributivi e fiscali, della pandemia di COVID-19».
Su 59.816.673 cittadini residenti in Italia al 31 dicembre 2019 sono stati 41.525.982 quelli che hanno presentato la dichiarazione dei redditi nel 2020 (con riferimento all’anno di imposta precedente). Nonostante l’aumento di oltre 150mila unità dei contribuenti/dichiaranti, i contribuenti/versanti – vale a dire quanti corrispondono almeno 1 euro di IRPEF – sono stati 31.160.957, valore in linea con il 2018 (5.513 in più). Venendo al profilo di distribuzione dei redditi, la pubblicazione rileva come il 78,82% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 28,36% di tutta l’IRPEF: di fatto, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per le principali funzioni di welfare.
Nel dettaglio, da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 9.098.369 soggetti, il 21,91% del totale, che pagano in media 34 euro di IRPEF l’anno. I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15.000 euro lordi l’anno sono invece 8.090.485: in questo caso, l’IRPEF media annua pagata per contribuente è di 454 euro (315 euro per abitante), a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari di 1.930 euro. Tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato (17.500 euro la mediana) si trovano 5,553 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.934 euro, che si riduce a 1.343 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 9.038.967 contribuenti versanti. Si tratta del 21,77% del totale contribuenti, che versa nel complesso il 19,82% delle imposte, per un’IRPEF media annua di 3.724 euro (2.627 euro per abitante).
Nella successiva fascia di reddito, da 29.001 a 35.000 euro, si trovano 3.303.701 contribuenti versanti, il 7,96% del totale, che corrisponde complessivamente il 12,78% delle imposte. A salire la scomposizione mostra invece il 13,22% dei contribuenti con redditi da 35mila euro in su che, nella sostanza, sostiene il peso del finanziamento del sistema di protezione sociale, versando il 58,86% dell’IRPEF. Più precisamente, esaminando le dichiarazioni a partire dagli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 100mila euro, l’Osservatorio individua solo l’1,21% dei contribuenti che tuttavia versa il 19,56% delle imposte. Sommando a questi contribuenti anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro (che sono 1.421.036 e pagano il 3,42% dell’IRPEF), si ottiene che il 4,63% paga il 37,22% dell’IRPEF e, includendo infine anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta che il 13,22% paga il 58,86% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.
In sintesi, dallo studio emerge che sono diminuiti i contribuenti, il reddito e il carico fiscale per gli scaglioni fino a 20.000 euro, mentre le classi di reddito intermedie fra 20.000 e 29.000 e fra 29.000 e 35.000 euro hanno registrato un discreto aumento dei contribuenti (+260mila) e, di riflesso del reddito complessivo, pur rimanendo invariato il versamento medio sia per contribuente sia per cittadino. Per le ultime cinque classi di reddito, infine, il carico fiscale è rimasto in line con lo scorso anno.
Tra i falsi miti sfatati dall’Osservatorio c’è di riflesso anche quello che vuole (tutti) gli italiani tartassati dal fisco e penalizzati delle eccessive imposte: la metà versa poco meno del 3% del gettito IRPEF, pari a 172,56 miliardi di euro al netto di bonus e detrazioni varie: solo per garantire loro l’assistenza sanitaria servono più di 50 miliardi, pagati da altri contribuenti. «Un enorme e costante trasferimento di ricchezza, sotto forma di servizi gratuiti, di cui questa enorme platea di beneficiari non si rende neppure conto – puntualizza Brambilla – davanti alle ripetute promesse (spesso “elettorali”) di nuove elargizioni da parte della politica, all’assenza di seri controlli e alla continua minaccia di abolizione delle tax expenditures per i redditi da 35mila euro in su». Redditi non certo da “ricchi” che, secondo Itinerari Previdenziali, scontano però l’italico paradosso secondo il quale più tasse si pagano e meno servizi si ricevono: ‘una progressività occulta e pericolosa, che incentiva i cittadini a dichiarare meno così da non rinunciare a prestazioni sociali o altre agevolazioni da parte di Stato, Regioni e comunì.
«L’analisi della situazione fiscale fornita da Itinerari Previdenziali – ha commentato il presidente di CIDA Mario Mantovani – quest’anno è particolarmente utile e significativa, perchè si inserisce nel dibattito della riforma fiscale che il Parlamento ha in programma di varare. E’ bene che il “decisore politico” tenga conto delle cifre contenute nell’Osservatorio per un bagno di realismo fondamentale se si vuole mettere mano con equità ad aliquote e scaglioni. La realtà dei numeri ci dice, innanzitutto, che finora le armi per contrastare l’evasione risultano inefficaci e gli interventi per riequilibrare il prelievo inadeguati. Il risultato di questa situazione sta nell’intollerabile pressione sui redditi “noti”, alimentata dalla sempre più evidente difficoltà del sistema fiscale a reperire le risorse necessarie a sostenere le spese sociali ed assistenziali. I dati di Itinerari Previdenziali dimostrano, infatti, che la maggior parte delle spese per il welfare va a finire sulle spalle di chi le tasse le ha sempre pagate, con un aggravio crescente in termini di riduzione del reddito disponibile, di potere d’acquisto, di depressione dei consumi e di minor dinamismo imprenditoriale».
«Certo è – ha commentato Mantovani nel corso della presentazione – che, ormai, gli scaglioni di reddito sui quali grava la maggior parte dell’IRPEF sono ben lontani dall’individuare i “ricchi” sui quali la progressività dell’imposta vorrebbe svolgere l’originaria funzione sociale e riequilibratrice. In realtà, le remunerazioni si sono appiattite verso il basso, le imprese non hanno aumentato le loro dimensioni, il lavoro qualificato non è cresciuto. Ed è da qui che bisogna ripartire con segnali concreti».
«Come CIDA preferiamo concentrarci su quello che conosciamo meglio: le imprese e il lavoro. E’ su questo terreno – ha proseguito Mantovani – che vanno trovate le soluzioni, almeno una parte di queste, visto che la premessa resta sempre quella di far pagare le tasse a chi evade. Il fisco, insomma, non può essere solo un occhiuto guardiano delle entrate, ma deve anche essere un potente stimolo per l’economia reale: la manifattura, il terziario, il digitale in tutte le sue applicazioni e potenzialità. Una realtà produttiva fatta di imprese che devono crescere: in dimensione, in qualità del lavoro e della sua remunerazione, in capacità di attrarre capitali e di competenza nel saperli investire. Il fisco può aiutarle in questo sforzo, ad esempio premiando le aziende che fanno utili, quelle che si aprono in modo trasparente all’ingresso di capitali di rischio, quelle che assumono. Si è tentato più volte, in un recente passato. Ora vanno selezionati gli strumenti migliori e applicati senza attendere, sfruttando il “vento” di ripresa e mettendo a frutto le risorse contenute nel PNRR. Mentre si lavora alla prossima Legge di Bilancio, vorremmo meno promesse e più proposte per far crescere le imprese, il lavoro qualificato, le retribuzioni e consentire ai nostri giovani preparati di trovare occasioni professionali in Italia, con stipendi adeguati e un sistema di welfare che incoraggi la natalità e prepari alla pensione. CIDA ha proposte da fare ed è pronta al confronto con la politica», ha concluso Mantovani.
(ITALPRESS).
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Cronaca
Tim pianta 400 nuovi alberi a Roma per migliorare l’ambiente urbano
Pubblicato
1 ora fa-
15 Novembre 2025di
Redazione
ROMA (ITALPRESS) – Oltre cento persone tra dipendenti TIM, familiari e amici hanno partecipato alla giornata di piantumazione, durante la quale, tramite la messa a dimora di 400 alberi, è stato creato un nuovo bosco urbano nel Consorzio Unitario Torrino Mezzocammino, quartiere della Capitale che ospita 38 ettari di parco pubblico.
Con l’iniziativa di oggi, TIM ha già piantato oltre 1.400 alberi a Milano, Roma e Torino: dal 2022, infatti, il Gruppo in collaborazione con Rete Clima, ente che accompagna le aziende in percorsi di sostenibilità e di decarbonizzazione, aderisce alla Campagna Nazionale Foresta Italia, in partnership con Coldiretti e PEFC Italia, con il patrocinio morale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, sostenendo un progetto che unisce imprese, istituzioni e cittadini nella cura del patrimonio forestale italiano. A questa attività TIM affianca anche un progetto di tutela della foresta amazzonica in Brasile che compensa le emissioni generate dai propri siti web.
Gli alberi messi a dimora dal Gruppo con Rete Clima – tra cui lecci, sughere, tamerici, corbezzoli, frassini, peri e viburni – sono specie autoctone, scelte per garantire equilibrio ecologico e favorire la biodiversità vegetale e animale. Il progetto include anche un piano di manutenzione pluriennale, per assicurare la crescita naturale delle piante e la continuità dell’intervento.
L’iniziativa fa parte delle attività del piano di sostenibilità di TIM che punta, tra l’altro, a raggiungere il NetZero nel 2040 e ad attuare interventi di rigenerazione ambientale e di miglioramento dell’ambiente urbano a favore della qualità della vita dei cittadini. Il progetto testimonia, inoltre, l’impegno concreto delle persone di TIM per la sostenibilità e per i territori in cui l’azienda opera.
– foto ufficio stampa Tim –
(ITALPRESS).
Cronaca
Vescio nuovo presidente Fipm “Diffondere la disciplina in tutta Italia”
Pubblicato
1 ora fa-
15 Novembre 2025di
Redazione
ROMA (ITALPRESS) – Gabriele Vescio è stato eletto presidente della Federazione italiana Pentathlon Moderno (Fipm). Vescio ha ottenuto il 61,22% dei voti, battendo Maria Elena Panetti, che ha ricevuto il 38,78% delle preferenze. A votare, nel corso dell’assemblea nazionale straordinaria elettiva, svoltasi presso il centro di preparazione olimpica “Giulio Onesti”, è stato il 100% degli aventi diritto. La Fipm ha eletto un nuovo presidente dopo il commissariamento avvenuto a luglio 2025, quando l’ormai ex presidente Fabrizio Bittner, in carica dal 2021, è stato sospeso per 20 mesi da ogni attività federale per il caso sui rimborsi spese. Vescio, 45 anni, avvocato penalista ed esperto di diritto sportivo, da pentatleta ha vestito la maglia della Nazionale dal 1998 al 2002, gareggiando per la società Athlion e il Gruppo Sportivo Carabinieri. Dal 2003 è stato prima tecnico, poi dirigente sportivo. “Veniamo da un commissariamento, la prima cosa che andrà ricostruita sarà proprio l’organizzazione amministrativa che si fondi su correttezza, onestà e lavoro. E’ questo l’impegno che mi sono preso con tutti i tesserati – ha poi detto Vescio a margine dell’assemblea -. Il mondo del pentathlon è come una famiglia, e spesso proprio all’interno delle famiglie si creano i grandi conflitti. Bisognerà indicare la strada e vedere coloro che vorranno allinearsi alla strada giusta. La porta è aperta a tutti coloro che vogliono fare pentathlon e crescere”.
Quanto ai principali obiettivi da perseguire, il neo presidente ha spiegato che saranno “allargare il movimento e creare una base solida di società, strutture e atleti per alzare il livello di competitività della Federazione, portando gli atleti a vincere medaglie come è stato alle ultime Olimpiadi e proseguire nel solco dei grandi risultati degli ultimi anni”. “Ci saranno novità – ha concluso Vescio – l’obiettivo sarà anche quello di gettare le basi per diffondere la disciplina in tutte le regioni d’Italia. A oggi il pentathlon viene praticato seriamente in cinque regioni, l’obiettivo è quello di arrivare almeno a 15”. Successivamente a quella del presidente, è avvenuta anche l’elezione del nuovo consiglio federale, che sarà composto da Roberto Naccari, Pierluigi Giancamilli, Federica Bondioli, Giovanni Zecovin, Irene Marotta, Filomena Patella e Alessandro Trono; in rappresentanza degli atleti sono stati eletti nel Consiglio Alessandra Bertacchini e Lorenzo Sciarra, mentre in rappresentanza dei tecnici è stata eletta Giulia Andreozzi.
– foto ufficio stampa Fipm –
(ITALPRESS).
Cronaca
Ucraina, Kallas “Se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra”
Pubblicato
1 ora fa-
15 Novembre 2025di
Redazione
ROMA (ITALPRESS) – “La guerra della Russia in Ucraina rappresenta una minaccia esistenziale per l’Unione Europea. Porre fine alla guerra in Ucraina in modo giusto e sostenibile è il primo passo verso la fine del conflitto. E’ il primo passo di un lungo percorso per ristabilire l’equilibrio internazionale e farlo funzionare per tutti i Paesi”. Così Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in un videomessaggio inviato all’Assemblea nazionale della Cisl. “Il problema è che ogni volta che si tenta di portare la Russia al tavolo dei negoziati, la Russia si ferma prima. Come si può avere un dialogo quando una parte si rifiuta di parlare? Ecco perchè l’Europa deve parlare in una lingua che la Russia capisca. Ecco perchè facciamo quello che facciamo per sostenere l’Ucraina politicamente, finanziariamente e militarmente”, ha spiegato. “Gli europei stanno affrontando minacce senza precedenti, attacchi ibridi, incursioni e tentativi deliberati di destabilizzare le nostre democrazie. Non possiamo permettere che questo sia precursore di qualcosa di molto peggiore. Se non siamo preparati, mettiamo a rischio ogni euro che spendiamo per scuole, ospedali e i nostri settori culturali”, ha aggiunto Kallas.
“La verità è che se inizi a investire nella difesa quando ne hai veramente bisogno, è già troppo tardi e lo è anche oggi. Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”, ha concluso.
(ITALPRESS).
-Foto: Ipa Agency-

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