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Economia

Acqua, gli investimenti salgono ma è forte il divario Nord-Sud

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ROMA (ITALPRESS) – Gli investimenti realizzati in Italia nel settore idrico raggiungono i 56 euro annui per abitante, in crescita del 17% dal 2019 e del 70% dal 2012, un trend che si riflette sul miglioramento della qualità del servizio seppur con marcate differenze tra Nord e Sud. Tra queste, permane un profondo divario in termini di capacità di investimento tra le gestioni industriali e quelle comunali “in economia”, diffuse soprattutto al Meridione. Un gap che va necessariamente colmato anche alla luce delle recenti fasi siccitose, fenomeno che potrebbe essere più frequente in un futuro dominato dagli effetti climatici del riscaldamento globale. È questo il quadro che emerge dal nuovo Blue Book – la monografia completa dei dati del Servizio idrico integrato – promosso da Utilitalia e realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la partnership di The European House – Ambrosetti e in collaborazione con Istat, Ispra, Cassa Depositi e Prestiti, il Dipartimento della Protezione Civile e le Autorità di Bacino.
Con l’avvio della regolazione ARERA nel 2012, dopo anni di instabilità gli investimenti realizzati hanno registrato un incremento costante: per il 2021 si stima un valore pro capite di 56 euro, un dato in aumento del 17% rispetto al 2019 (49 euro per abitante) e di circa il 70% rispetto al 2012 (33 euro per abitante).
Numeri in crescita ma ancora lontani dalla media europea relativa ai dati degli ultimi cinque anni disponibili, che è pari a 82 euro per abitante. L’analisi della destinazione degli investimenti realizzati dai gestori evidenzia come obiettivo prioritario il contenimento dei livelli di perdite idriche (22%); seguono, tra i principali interventi, il miglioramento della qualità dell’acqua depurata (18% del totale) e gli investimenti nelle condotte fognarie (14%).
Restano comunque ancora grandi differenze tra le diverse aree del Paese. La stima degli investimenti realizzati dai gestori industriali nel 2021 per il Centro Italia è pari a 75 euro l’anno per abitante, seguito dal Nord-Est (56 euro) e dal Nord-Ovest (53 euro). Decisamente più bassa la stima per il Sud, pari a 32 euro l’anno per abitante. Ancora bassissimi i dati relativi alle gestioni “in economia”, dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico: qui gli investimenti medi annui si attestano a 8 euro. Dei 1.519 Comuni in cui la gestione di almeno uno dei servizi è “in economia”, il 79% si trova al Sud per una popolazione interessata pari a circa 7,7 milioni di persone.
L’efficacia del generale incremento degli investimenti osservato negli ultimi anni sembra essere confermata dagli indicatori della qualità del servizio idrico, come dimostrano i dati sulle perdite di rete (da circa il 44% del 2016 al 41% del 2021) o sulla frequenza degli sversamenti/allagamenti in fognatura (dai 12 eventi l’anno ogni 100 km di rete del 2016 ai 5 del 2021). Tuttavia, si osservano differenti performance tra Nord e Sud, a riprova del divario territoriale: un esempio è il numero di interruzioni del servizio, che nel Meridione è di due ordini di grandezza superiore rispetto al Settentrione, o le perdite di rete, che nelle regioni del Sud si attestano a circa 47% contro il 31% del Nord-Ovest.
“Risolvere le problematiche che affliggono il servizio idrico in diverse aree del Sud – evidenzia Stefano Pareglio, presidente della Fondazione Utilitatis – è una questione non più procrastinabile. Bisogna lavorare per elevare il livello degli investimenti e per ridurre il gap infrastrutturale, agendo rapidamente sulla governance favorendo la partecipazione di operatori industriali. Come dimostrano le positive esperienze del Centro-Nord, e in alcuni casi anche del Meridione, solo in questo modo è possibile ottenere un incremento degli investimenti e della qualità dei servizi offerti ai cittadini. Laddove la gestione è ancora affidata direttamente ai comuni, si registra infatti un livello di investimenti talmente basso da non consentire programmi di sviluppo delle reti, né un’adeguata manutenzione”.
Per superare il divario territoriale e migliorare il grado di resilienza delle infrastrutture alla luce degli effetti dei cambiamenti climatici in corso sono necessari ulteriori investimenti. Il 2022 è stato l’anno più caldo e meno piovoso della storia italiana, con temperature che hanno raggiunto i +2,7 °C rispetto alla media 1981-2010 e anomalie pluviometriche significative soprattutto nelle regioni centro-settentrionali. Queste variazioni si inseriscono nel contesto degli effetti dei cambiamenti climatici in corso: negli ultimi 70 anni, in Italia, si è osservato un aumento statisticamente significativo delle zone colpite da siccità estrema e, negli ultimi 9 anni, la temperatura nelle principali città italiane è aumentata di 1,3°C. Variazioni meteo-climatiche che hanno un’influenza significativa sul ciclo idrologico: la stima di disponibilità idrica media per l’ultimo trentennio mostra una riduzione del 20% rispetto al periodo 1921-1950.
In ogni caso le cause delle crisi idriche non sono legate esclusivamente al clima che cambia, ma sono da addurre anche a fattori di vulnerabilità che connotano il settore idrico italiano. Durante la crisi 2022-2023, le azioni messe in campo dalla Protezione Civile, dalle Autorità di Bacino, dai loro Osservatori, dai gestori del servizio e dagli altri attori interessati hanno permesso di limitare i disagi per la popolazione.
“Per il futuro – sottolinea Utilitalia -, al fine di fronteggiare al meglio eventi simili, occorre adottare una strategia operativa che combini misure di breve termine (ad esempio utilizzo autobotti, serbatoi e nuove fonti di approvvigionamento) orientate prevalentemente alla minimizzazione degli impatti, con interventi di medio-lungo termine (es. interventi infrastrutturali), finalizzati a migliorare la resilienza dei sistemi di approvvigionamento idrico”. Da quest’ultimo punto di vista, Utilitalia ha stimato che per fronteggiare gli effetti della crisi climatica, i gestori nei prossimi anni investiranno almeno 10 miliardi di euro aggiuntivi rispetto agli interventi finanziati dal PNRR – la metà dei quali entro il 2024 – per un volume complessivo di acqua recuperata stimato in circa 620 milioni di metri cubi.
Come emerge dal Libro Bianco 2023 “Valore Acqua per l’Italia” contenuto in parte nel Blue Book 2023, per mitigare i problemi di sicurezza dell’approvvigionamento, “l’esperienza della crisi idrica ha ribadito la necessità di adottare un approccio preventivo nella gestione dell’acqua, dove le cosiddette “5 R” – Raccolta, Ripristino, Riuso, Recupero e Riduzione – costituiscono le azioni necessarie per garantire la circolarità della risorsa e la sicurezza dell’approvvigionamento – spiega Utilitalia -. Inoltre le azioni da mettere in campo per fronteggiare questi episodi devono prevedere necessariamente una combinazione di fattori che riguardano non solo un utilizzo efficiente, ma anche la realizzazione di infrastrutture moderne che consentano la diversificazione della strategia di approvvigionamento e, non ultimo, il superamento delle criticità gestionali e di governance che oggi frenano lo sviluppo del settore e riducono la qualità del servizio in alcune zone del Paese. Da questo punto di vista è importante promuovere interventi in innovazione e digitalizzazione anche facendo ricorso a strumenti di veloce sviluppo come il venture capital”.
Utilitalia ha lanciato “otto proposte concrete per favorire l’adattamento infrastrutturale delle reti idriche al cambiamento climatico”. Tra quelle di breve periodo (entro 3 mesi) figurano: favorire il riuso efficiente, contrastare il cuneo salino, diversificare la strategia di approvvigionamento e sostenere la presenza di gestioni industriali; tra quelle di medio periodo (entro 6 mesi) il rafforzamento della governance dei distretti idrografici e la semplificazione per la realizzazione degli investimenti, mentre tra quelle di lungo periodo (oltre 6 mesi) la promozione dell’uso efficiente dell’acqua e la realizzazione di opere infrastrutturali strategiche. “Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla disponibilità della risorsa idrica – conclude il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – sono sempre più evidenti e danno luogo ad eventi che non si possono più considerare eccezionali. Bisogna affrontarli con interventi che favoriscano la resilienza delle reti e dei sistemi acquedottistici all’interno di un approccio globale che consideri tutti i diversi utilizzi dell’acqua nel nostro Paese, garantendo la priorità all’uso civile. Al contempo, dai dati del Blue Book emerge chiaramente la necessità di interventi urgenti sul fronte della governance, in mancanza dei quali sarà impossibile portare il livello degli investimenti vicino alla media europea e colmare il water service divide tra le diverse aree italiane”.

– foto Agenziafotogramma.it –

(ITALPRESS).

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Economia

Inps “Nessun buco nei conti, operazioni improntate nel rigoroso rispetto dei criteri contabili”

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ROMA (ITALPRESS) – Il Presidente, il Consiglio di Amministrazione e il Direttore generale dell’Istituto in una nota “intendono ribadire con forza che non sussiste alcun “buco” nei conti dell’INPS e che, invece, nell’ottica della massima trasparenza del bilancio, le operazioni di eliminazione dei crediti contributivi sono state improntate al rigoroso rispetto dei criteri contabili e della normativa vigente”.

“Nel corso degli anni i crediti eliminati erano già stati opportunamente “svalutati” in quanto inesigibili per una serie di motivi; in questa categoria sono ricompresi anche quelli cancellati a seguito delle norme relative alla “rottamazione” di cartelle esattoriali di importo molto modesto (fino a mille o cinquemila euro) e maturati tra il 2000 e il 2015 – spiega l’Istituto di Previdenza -. In questo senso, va sottolineato come, nel tempo, siano state previste salvaguardie specifiche per garantire la neutralità finanziaria di tali operazioni: 1. Compensazione integrale tramite il Fondo di svalutazione crediti: i crediti eliminati sono interamente coperti da un fondo costituito e alimentato negli anni proprio per far fronte a situazioni di bassa esigibilità. Ciò esclude qualsiasi effetto negativo sul conto economico. 2. Stime conservative sull’esigibilità degli stessi crediti: già nel preventivo 2025, l’INPS ha valutato l’incasso dei crediti fino al 2020 in misura pari a solo l’1% del valore, riflettendo una pianificazione finanziaria cauta e realistica. 3. Minimalità degli impatti attesi: come evidenziato dalla scheda tecnica della Legge 197/2022, l’impatto netto sugli enti previdenziali era stimato in soli 98 milioni nel 2023 e 26 milioni nel 2024, confermando la marginalità delle somme coinvolte; 4. Razionalizzazione attiva e passiva: l’eliminazione di residui ha riguardato le poste attive e quelle passive del bilancio (oltre 2,7 miliardi di residui passivi)”. 

“Le norme interessate riguardano, per l’esercizio 2024, esclusivamente crediti molto vecchi, risalenti al periodo 2000-2015: DL 119/2018 (406 mila euro); DL 41/2021 (5,4 miliardi di euro); Legge 197/2022 (9,9 miliardi di euro) – sottolinea l’Inps -. Gli interventi effettuati non intaccano l’efficacia della riscossione ordinaria, come dimostra l’incremento di 3,96 miliardi di euro (2024 vs. 2023) alla stessa voce “Aziende – contributi della gestione privata”, rilevato nella “Gestione di cassa” deliberata lo scorso 26 marzo, mentre, per il solo 2025, si prevedono accertamenti per oltre 177 miliardi di euro derivanti dalle “Aziende con dipendenti””. Il Consiglio di amministrazione sottolinea come “i corretti comportamenti contabili (accantonamenti annuali al fondo svalutazione, stime accurate, eliminazione dei residui attivi inesigibili e dei debiti insussistenti) sono parte integrante della governance finanziaria dell”INPS; le operazioni non hanno comportato perdite o riduzioni delle risorse disponibili, essendo i crediti già ritenuti “non esigibili”; il bilancio riflette ora una rappresentazione più fedele e responsabile dello stato patrimoniale, allineata alle norme contabili. Va infine sottolineata la rilevanza dell’operazione contabile portata a termine, richiesta anche dagli organi di controllo e vigilanza: siamo di fronte a un adeguamento necessario, finalizzato a migliorare, certamente in misura superiore rispetto al recente passato, la trasparenza e l’efficienza amministrativa”.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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Economia

Notariato, rapporto compravendite immobili 2024 +15,8%

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ROMA (ITALPRESS) – È stato pubblicato sul sito https://dsn.notariato.it/dsn il Rapporto Dati Statistici Notarili (DSN) 2024 relativo alle compravendite di immobili e mutui. I DSN vengono raccolti e elaborati sulla base dell’attività di tutti gli studi notarili sul territorio nazionale e sono da considerare dati reali, in quanto rappresentano le effettive transazioni effettuate in Italia nel corso del 2024.

Mentre nel 2024 il mercato immobiliare ha segnato un aumento in generale dell’1%, le compravendite di abitazioni sono cresciute del 15,8%. Più nel dettaglio a crescere nel 2024 sono stati gli acquisti di case tra privati, +26,8% a fronte di + 17,4% di quelli da impresa. Tira anche il mercato delle seconde case, che ha segnato una crescita del 4,4% da privati e dell’8,8% da impresa. Significativo è stato anche l’aumento del valore medio delle case: nel 2023 era di 154.416 euro, mentre nel 2024 è stato di 166.395 euro (+7,8%). Anche l’erogazione dei mutui è cresciuta del 5,7%.

Nel 2024 sono state effettuate 1.040.871 transazioni relative a compravendite di fabbricati in generale, in aumento dell’1% rispetto al 2023, che aveva visto 1.030.507 transazioni. Analizzando il settore specifico delle compravendite di immobili abitativi, si può notare l’inversione di un trend negativo: il 2024, infatti, si conclude con 634.498 transazioni, ritornando ai livelli del 2021 (628.137 transazioni), in crescita del 15,8% rispetto alle 547.838 del 2023.

Dall’analisi delle compravendite tra il 2016 e il 2024 si evince una crescente propensione all’acquisto di seconde case, che nel 2024 si attestano a oltre 282.000 transazioni rispetto alle 206.000 del 2016. Da evidenziare inoltre sempre dal 2016 al 2024 la forte crescita degli acquisti di seconda casa da impresa: nel 2024 sono state 54.714 mentre nel 2016 erano 37.707 a conferma del sempre maggiore interesse verso investimenti sostenibili dal punto di vista energetico nel mattone.

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Che gli italiani siano disposti a spendere di più in nome dell’efficienza energetica lo confermano i dati dei prezzi di acquisto di seconde case nel 2024. Il 36,3% delle compravendite da impresa ha registrato un prezzo inferiore a 100.000 euro, il 18,28% tra 100.000 e 200.000 euro, il 15,9% tra 200.000 a 300.000 euro, il 10,28% tra 300.000 a 400.000 euro. Al contrario il 69,17% dell’acquisto di seconde case usate sono rimaste sotto la soglia dei 100.000 euro.

Restano al Nord i maggiori volumi di scambio: la regione nella quale sono state effettuate più compravendite nel 2024è la Lombardia con il 19,22%. Seguono il Piemonte (8,99%) e il Lazio (8,94%). La fascia d’età in cui viene effettuato il maggior acquisto di fabbricati si conferma quella tra 18-35 anni, con una percentuale nell’intero 2024 pari al 26,52% delle transazioni. Il 55,31% degli immobili abitativi è stato acquistato con l’agevolazione prima casa, percentuale in aumento rispetto al 2023 (quando l’asticella si è fermata al 50,8%) e al 2022 (quando il dato era del 53,12%).

Anche nel 2024 le compravendite effettuate da privati sono maggiori rispetto a quelle da imprese. Questo vale sia per gli immobili abitativi, venduti da privati nell’87,46% dei casi Nel 2024, il settore dei mutui è in recupero rispetto alla forte flessione registrata nell’anno precedente. Dopo il calo del 26% osservato tra il 2022 e il 2023, le nuove rilevazioni evidenziano un aumento complessivo dei mutui del 5,7% su base annua, portando il numero dei finanziamenti erogati nel 2024 a 340.611 (contro i 322.098 del 2023). Non si è ancora tornati ai livelli pre-pandemici (erano stati registrati 396.779 mutui nel 2019), ma l’inversione del trend suggerisce un quadro in miglioramento, sebbene ancora condizionato dall’andamento dei tassi di interesse e dall’incertezza economica.

Anche il capitale complessivo erogato per finanziamenti ipotecari su immobili conferma questo aumento (+9,1%), passando da 53.180.271.451 euro nel 2023 a 57.996.070.406 euro nel 2024. La crescita è stata trainata principalmente dalle operazioni di acquisto della prima casa. Le surroghe incidono per il 4,8% del totale (sostanzialmente invariate rispetto al 4,79% registrato nel 2023). A livello geografico, nel 2024 un po’ tutte le regioni segnano un aumento tra il primo ed il secondo semestre, invertendo un trend negativo intravisto nel secondo semestre del 2023. Sul fronte della distribuzione temporale delle operazioni i primi tre mesi del 2024 hanno visto una significativa flessione rispetto allo stesso trimestre del 2023, con un calo del 13,8%.

Con la diminuzione dei tassi di interesse, aprile 2024 inizia a essere il primo mese che vede invece un aumento del numero dei mutui. Per quanto riguarda l’importo dei mutui, i finanziamenti sotto 50.000 euro rimangono piuttosto limitati (intorno al 3,5% del totale), mentre quelli sopra i 300.000 euro si attestano su un 6%, evidenziando che la fascia medio-alta (fra i 100.000 euro e 250.000 euro) resta la più rappresentativa e in crescita del 9,1% rispetto al 2023.

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L’innalzamento dei tassi, infatti, continua a frenare le operazioni di importo più alto. Per quanto concerne l’età della popolazione interessata dai mutui, le rilevazioni vedono una situazione sostanzialmente invariata rispetto al 2023, con un leggero calo dell’incidenza dei mutui erogati agli “under 36” che scendono di mezzo punto percentuale rispetto all’anno precedente. Significativo è l’aumento del valore delle case: nel 2023 il valore medio degli acquisti era di 154.416 euro mentre nel 2024 è aumentato a 166.395 euro (+7,8%). Il valore mediano degli immobili abitativi acquistati da privati con agevolazione prima casa nel 2024 si attesta a 119.000 euro, in leggero rialzo rispetto ai 113.000 euro del 2023.

-Foto ufficio stampa Notariato-
(ITALPRESS).

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Economia

Istat, a marzo l’inflazione accelera a +1,9% su base annua

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ROMA (ITALPRESS) – A marzo 2025 l’Istat stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenti dello 0,3% su febbraio e dell’1,9% su marzo 2024, dal +1,6% del mese precedente. La stima preliminare era +2%. La dinamica dell’indice generale riflette principalmente la risalita del tasso di variazione tendenziale dei prezzi degli Energetici non regolamentati, tornato positivo (da -1,9% a +0,7%) e, in misura minore, l’accelerazione dei prezzi dei Tabacchi (da +4,1% a +4,6%) e degli Alimentari non lavorati (da +2,9% a +3,3%).

Un sostegno all’inflazione si deve anche ai Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +3,1% a +3,5%), ai Servizi relativi alle comunicazioni (da +0,5% a +0,8%) e infine ai Beni durevoli (la cui flessione si attenua da -1,5% a -1,2%). All’opposto, decelerano i prezzi degli Energetici regolamentati (da +31,4% a+27,2%) e quelli dei Servizi relativi ai trasporti (da +1,9% a +1,6%).

A marzo l’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, resta stabile (a +1,7%), mentre quella al netto dei soli beni energetici accelera lievemente (da +1,7% a +1,8%).

La crescita tendenziale dei prezzi dei beni si accentua (da +1,1% a +1,5%), come anche quella dei servizi, seppur in lieve misura (da +2,4% a +2,5%). Il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni si riduce, portandosi a +1 punto percentuale (+1,3 a febbraio 2025).

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Il tasso tendenziale di variazione dei prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumenta lievemente (da +2,0% a +2,1%), mentre quello dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto resta stabile (a +1,9%). L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+1,2%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,7%), degli Energetici non regolamentati (+0,6%), dei Tabacchi (+0,5%), dei Servizi relativi all’abitazione (+0,4%) e dei Servizi relativi alle comunicazioni (+0,3%); gli effetti di questi aumenti sono stati solo in parte compensati dalla diminuzione dei prezzi degli Energetici regolamentati (-2,5%) e degli Alimentati non lavorati (-0,3%).

L’inflazione acquisita per il 2025 è pari a +1,3% per l’indice generale e a +1% per la componente di fondo. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta di 1,6% su febbraio, per la fine dei saldi stagionali di cui il NIC non tiene conto, e del 2,1% rispetto a marzo 2024 (da +1,7% di febbraio); confermando la stima preliminare. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,2% su febbraio e dell’1,7% su marzo 2024. Nel primo trimestre 2025 i prezzi al consumo, misurati dall’IPCA, evidenziano aumenti più elevati per le famiglie con minore capacità di spesa e relativamente più contenuti per quelle con livelli di spesa più alti (+2,0% e +1,8% rispettivamente).

“A marzo 2025 l’inflazione aumenta, portandosi all’1,9% dall’1,6% di febbraio – commenta l’Istat -. Tale evoluzione risente principalmente dell’andamento delle componenti più volatili dell’indice. Sono infatti in accelerazione su base tendenziale sia i prezzi dei Beni energetici (+2,6%, da +0,6%), spinti dalla componente non regolamentata (+0,7%, da -1,9%), sia quelli degli Alimentari non lavorati (+3,3%, da +2,9%). L’inflazione di fondo resta, invece, stabile a +1,7%. Infine, i prezzi del “carrello della spesa” accentuano leggermente il loro tasso tendenziale di crescita, che a marzo sale a +2,1% (da +2,0% di febbraio)”.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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