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Economia

Imprese, nel 2024 aperture in crescita ma chiusure accelerano

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ROMA (ITALPRESS) – Alla fine del 2024 l’anagrafe delle imprese italiane registra un bilancio positivo, con un saldo tra aperture e chiusure che si attesta a +36.856 unità nei dodici mesi da poco conclusi. Alle 322.835 iscrizioni di nuove attività economiche hanno fatto eco 285.979 cessazioni di attività esistenti, per un tasso di crescita della base imprenditoriale che si attesta a +0,62% (contro +0,70% del 2023). Le dinamiche demografiche del sistema produttivo fanno tuttavia emergere segnali di difficoltà in particolare sul fronte del ritmo delle aperture di nuove imprese, segnato da uno dei tassi di natalità più contenuti degli ultimi 20 anni (peggio si è fatto solo negli anni del Covid) e dell’ampliarsi del fenomeno delle “culle” vuote in un numero crescente di comuni italiani. Nel 2024, infatti, i registri anagrafici delle imprese hanno registrato uno “zero” nei territori di 478 Comuni, contro i 374 di dieci anni prima e i 212 del 2004. Queste alcune delle evidenze che emergono dai dati Movimprese sull’andamento della demografia delle imprese nel 2024, elaborati da Unioncamere e InfoCamere sulla base del Registro delle imprese delle Camere di commercio.
“Oltre all’aspetto della denatalità di impresa di alcuni territori, un andamento che crea disparità tra le nostre regioni”, sottolinea il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete, “vanno valutate ed approfondite le cause che stanno portando a una riduzione della base imprenditoriale di alcuni settori cardine della nostra economia, come il commercio, l’agricoltura e il manifatturiero. Positiva invece la crescita di diversi comparti dei servizi, a partire dalle Attività professionali scientifiche e tecniche”.
A livello settoriale, il saldo positivo del 2024 riflette dinamiche eterogenee tra i vari comparti. Oltre l’80% della crescita annuale (29mila imprese) si concentra in soli tre macro-settori: attività professionali scientifiche e tecniche (+10.845 imprese, pari ad un tasso di crescita del 4,40% su base annua), costruzioni (10.636 imprese in più, corrispondenti ad una crescita dell’1,27%), alloggio e ristorazione (+8.125, pari a +1,78%). In modo quasi speculare, altri tre grandi comparti hanno pesato in senso negativo sul saldo con una riduzione apprezzabile del proprio perimetro imprenditoriale: commercio (10.129 imprese in meno, pari al -0,72% contro lo 0,60% in meno del 2023), agricoltura, silvicoltura e pesca (-7.457, pari al -1,06% e in linea con l’anno precedente) e attività manifatturiere (-4.137 -0,81% contro -056% del 2023).
Dal punto di vista territoriale i dati Movimprese mostrano segnali di crescita in tutte le quattro macro-ripartizioni geografiche del Paese, anche se ovunque con dinamiche più attenuate rispetto al 2023.
In termini assoluti il contributo più significativo al saldo annuale è venuto dal Mezzogiorno (+13.684 imprese); in termini relativi la componente più dinamica è stata l’area del Centro-Italia (+0,80%) sostenuta dalla spinta decisiva del Lazio (+1,63%). Complessivamente, 15 regioni italiane hanno chiuso l’anno con un saldo positivo (erano 17 nel 2023).
In termini di forme organizzative, alla fine del 2024 il tessuto imprenditoriale italiano appare rafforzato grazie alla significativa espansione delle imprese costituite in forma societaria, cresciute del 3,25% rispetto al 2023 (+60mila unità). Questo progresso avviene a scapito delle altre forme organizzative, il cui numero si si è complessivamente ridotto di oltre 24mila unità (meno 14mila le società di persone, meno 10mila le imprese individuali).
Escludendo il triennio 2020-2022 segnato dagli effetti della pandemia, il saldo positivo del 2024 si colloca di poco al di sopra della media dell’ultimo decennio (33.169), risultato di una lieve ripresa delle iscrizioni (circa 10.800 in più) e di una più marcata crescita delle cessazioni (circa 16.000) rispetto al 2023. In questo contesto, per la prima volta Movimprese ha focalizzato l’attenzione sul fenomeno della de-imprenditorializzazione dei territori, analizzando il flusso delle iscrizioni di imprese a livello comunale.
L’analisi, condotta su venti anni di dati del Registro delle Imprese, evidenzia l’ampliamento del perimetro dei territori in cui si riscontra un’assenza assoluta di nuove iniziative imprenditoriali. Dai 212 Comuni a zero natalità imprenditoriale del 2004 (pari al 2,6% di tutti i Comuni esistenti all’epoca) si è passati ai 374 del 2014 (4,6% del totale) per arrivare ai 478 rilevati tra gennaio e dicembre dello scorso anno (il 5,9% dei campanili della Penisola).
Il fenomeno delle “culle d’impresa” vuote, osservato a livello dei territori comunali, presenta risvolti che richiedono un approfondimento dedicato e multidimensionale, incrociando variabili socio-economiche su diversi piani di analisi. La disponibilità dei dati Movimprese a questo livello di dettaglio (e la loro confrontabilità nel tempo) offre una solida base per l’avvio di un percorso di approfondimento e comprensione più articolata. Geograficamente, i comuni che nel corso del 2024 non hanno visto nascere attività d’impresa sono distribuiti in tutte le regioni italiane, con l’unica eccezione della Basilicata. In termini assoluti, la concentrazione più elevata si registra in Piemonte (126); a seguire vengono la Lombardia (103) e, con un distacco significativo, la Sardegna (32).
Se si considera il rapporto tra questi comuni e il totale dei comuni presenti nelle rispettive regioni, emergono differenze interessanti rispetto a questo primo quadro. In una significativa continuità territoriale, al Piemonte (10,6% di incidenza dei municipi senza nuove imprese sul totale dei comuni in regione) si aggiunge la Valle d’Aosta (con un valore anche più elevato: 10,8%), la Lombardia (6,7%) esce di scena dalle prime posizioni, mentre la Sardegna si conferma in seconda posizione anche in termini relativi, affiancata però dalla Toscana (8,5%). Anche in termini relativi, si segnala una continuità territoriale significativa tra Abruzzo (8,2%) e Molise (8,1%) a indicare come la geografia dei sistemi imprenditoriali locali sia fortemente condizionata da quella fisica dei territori su cui insistono le attività d’impresa.

– Foto Agenzia Fotogramma –

(ITALPRESS).

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Economia

Urso “Obiettivo sostenibilità ambientale condiviso, ma non può farlo solo l’Europa”

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ROMA (ITALPRESS) – “L’obiettivo della sostenibilità ambientale è pienamente condiviso e dovrebbe esserlo da tutti nel mondo, non possiamo farlo solo noi in Europa quando gli altri vanno in direzione avversa, dato che l’ambiente è comune. L’Europa si è posta degli obiettivi che sono non sostenibili sul piano economico e sociale e il rischio è che diventi un grande parco divertimenti o uno straordinario museo all’aria aperta in cui ricchi turisti asiatici trovano il posto migliore dove passare le loro vacanze. Noi questo non lo vogliamo”. Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ad Atreju. “Vogliamo certamente essere un patrimonio dell’umanità con le nostre bellezze storiche, culturali e artistiche, ma anche avere un’industria competitiva, capace di reggere la sfida sociale e occupazionale”, sottolinea.

“Tre anni fa il governo di Giorgia Meloni era l’unico in Europa ad aver capito che occorreva rivedere le regole del Green Deal per coniugare la sostenibilità ambientale con la sostenibilità economica e sociale, ci siamo mossi e finalmente oggi abbiamo una maggioranza di Paesi europei che chiedono alla Commissione di agire subito. Vedremo il 16, quando la Commissione ci ha comunicato che avrebbe presentato due documenti importanti e fondamentali, la revisione del CBAM e la revisione del regolamento sulle Co2 e i veicoli leggeri”, ha concluso.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS)

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Economia

Orsini “Fare presto sul mercato dell’energia. Mercosur? Non perdere l’occasione”

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ROMA (ITALPRESS) – Il Dl Energia “più che mia è una preoccupazione delle imprese italiane, oggi la competitività si basa soprattutto sull’energia. Quando non siamo competitivi sull’energia rischiamo di perdere pezzi di industria importante”. Così Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, a margine di Atreju. “Attenzione, serve fare presto. Capisco gli errori del passato per le scelte non fatte – aggiunge –, ma oggi servono le condizioni per essere competitivi. Noi non abbiamo la capacità di fare debito pubblico come fa la Germania che investe 26 miliardi per abbassare il prezzo dell’energia nel 2026 e saremo ancora meno competitivi”.

“Noi abbiamo sempre chiesto un piano industriale che avesse una visione di almeno 3 anni, abbiamo lavorato insieme per fare in modo che l’iperammortamento avesse 2026-27-28. Speriamo rimanga così, io credo che questa sia la via per avere una visione a lungo termine a chi fa investimenti”. Tutto questo “insieme alla Zes che sta facendo sì che il Sud diventi più forte. E’ ovvio che serve volare alto perché le nostre imprese hanno bisogno di competitività e per essere produttivi e incrementare la competitività servono investimenti”.

“Il Mercosur ci preoccupa. Ci aspettiamo che gli Usa nel prossimo anno possano avere un calo e per noi è un partner importante. Noi oggi non possiamo perdere l’opportunità di un negoziato che dura da 25 anni. Quello dell’Italia è un voto determinante e non possiamo perdere questa occasione, abbiamo saputo dell’astensione del Belgio e la posizione del Brasile. Serve far presto e trovare le condizioni che mettano in tranquillità gli agricoltori, che sono un pezzo importante dell’Europa perché serve trovare le giuste compensazioni e tutele, ma non possiamo perdere un pezzo di Pil così importante che è quello dell’industria europea”, ha concluso.

– Foto IPA Agency –
(ITALPRESS).

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Orsini “Fare presto sul mercato dell’energia. Mercosur? Ci preoccupa”

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ROMA (ITALPRESS) – Il Dl Energia “più che mia è una preoccupazione delle imprese italiane, oggi la competitività si basa soprattutto sull’energia. Quando non siamo competitivi sull’energia rischiamo di perdere pezzi di industria importante”. Così Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, a margine di Atreju. “Attenzione, serve fare presto. Capisco gli errori del passato per le scelte non fatte – aggiunge –, ma oggi servono le condizioni per essere competitivi. Noi non abbiamo la capacità di fare debito pubblico come fa la Germania che investe 26 miliardi per abbassare il prezzo dell’energia nel 2026 e saremo ancora meno competitivi”.

“Noi abbiamo sempre chiesto un piano industriale che avesse una visione di almeno 3 anni, abbiamo lavorato insieme per fare in modo che l’iperammortamento avesse 2026-27-28. Speriamo rimanga così, io credo che questa sia la via per avere una visione a lungo termine a chi fa investimenti”. Tutto questo “insieme alla Zes che sta facendo sì che il Sud diventi più forte. E’ ovvio che serve volare alto perché le nostre imprese hanno bisogno di competitività e per essere produttivi e incrementare la competitività servono investimenti”.

“Il Mercosur ci preoccupa. Ci aspettiamo che gli Usa nel prossimo anno possano avere un calo e per noi è un partner importante. Noi oggi non possiamo perdere l’opportunità di un negoziato che dura da 25 anni. Quello dell’Italia è un voto determinante e non possiamo perdere questa occasione, abbiamo saputo dell’astensione del Belgio e la posizione del Brasile. Serve far presto e trovare le condizioni che mettano in tranquillità gli agricoltori, che sono un pezzo importante dell’Europa perché serve trovare le giuste compensazioni e tutele, ma non possiamo perdere un pezzo di Pil così importante che è quello dell’industria europea”, ha concluso.

– Foto IPA Agency –
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