Economia
Lavoro, con la pandemia dominano insicurezza e incertezza
Pubblicato
3 anni fa-
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Redazione
“La pandemia – al di là delle cadute occupazionali e di Pil che ne sono state la rappresentazione più vistosa – ha comportato un rimescolio profondo nel senso del lavoro e nel vissuto dei lavoratori, che è ancora non concluso e che attende di essere tradotto in indirizzi nuovi nelle politiche pubbliche e nei comportamenti degli attori sociali”. Così Mimmo Carrieri, docente di Sociologia economica e Sociologia delle relazioni di lavoro all’Università La Sapienza, nella prefazione al rapporto curato da Lavoro&Welfare e dallo Studio Labores sull’occupazione. La ricerca ha rilevato, nei mesi a cavallo tra prima e seconda ondata del virus, “un livello di incertezza del futuro e di insicurezza sociale (connessa al lavoro) elevatissima: solo una piccola minoranza, pari a meno del 20% degli intervistati, si dichiarava del tutto sicura e per così dire al riparo da gravi rischi connessi al lavoro. Non si trattava di una novità o di una scoperta, ma piuttosto di una conferma. In effetti ci troviamo di fronte a un fattore di continuità, che ci dice come il nostro Paese è stato attraversato, almeno a partire dalla ‘grande recessione’ del 2008, da un’ansia e un’insoddisfazione sociali molto ampie e destinate a non essere scalfite nel corso del tempo. Le misure del Jobs Act di metà dello scorso decennio non si erano rivelate idonee a invertire la dominanza di queste preoccupazioni. Questo sentimento collettivo d’insicurezza resta dunque molto radicato, e ci ricorda come esso sia connesso non solo alla precarietà lavorativa, ma vada ben oltre e renda conto piuttosto di una estesa vulnerabilità sociale che attraversa una parte rilevante dell’insieme dei lavoratori”.
Passando ai numeri, secondo i dati del rapporto curato da Bruno Anastasia, l’Italia, sia nel secondo che nel terzo trimestre 2021, ha evidenziato una dinamica migliore sia di quella media della zona Euro (rispettivamente + 1,4% e +1,2% contro +1,2% e +1,0%) sia di quella dei Paesi assunti a confronto (Germania, Polonia, Francia, Spagna). “Se a inizio 2021 potevamo misurare il costo della crisi dovuta al coronavirus in quasi un milione di occupati, a fine anno verifichiamo che tale costo si è attestato attorno alle 300.000 unità”. Quanto ai dipendenti permanenti, i dati mostrano che nel secondo semestre 2021 si sono assestati praticamente sullo stesso livello del 2019, ma “non si tratta tanto di un recupero trainato dalla creazione di nuovi posti di lavoro quanto della riattivazione, in buona parte, di posti pre-esistenti grazie al rientro di molti lavoratori dalla Cassa integrazione”. Anche per i dipendenti a termine “il continuo recupero ha permesso di ritornare a partire da settembre 2021 praticamente sui medesimi valori del 2019. Non si tratta quindi (finora) di una nuova, inedita crescita della precarietà – come molti commentatori sostengono perché limitano la loro analisi agli ultimi dodici mesi – ma del recupero di un livello analogo a quello raggiunto in precedenza a ridosso della pandemia”. Infine, per quanto riguarda i lavoratori indipendenti, si osserva che “il loro trend di contrazione – ben antecedente alla pandemia – è stato da questa congiunturalmente accelerato in coincidenza del periodo del primo lockdown; poi è proseguito, pur con un’intensità via via più modesta, senza finora mettere in evidenza alcun segnale di recupero delle posizioni pre-pandemiche”.
Per Cesare Damiano “risulta dall’indagine come il lavoro a tempo determinato sia stato vittima del blocco dei licenziamenti che ha riguardato esclusivamente il lavoro stabile. Una diminuzione prevedibile alla quale è seguito, nei mesi recenti, una ripresa che lo colloca al livello del 17% del totale dell’occupazione dipendente”.
(ITALPRESS).
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Economia
Automotive, De Meo “Basta antagonismi tra le tecnologie, bisogna reagire alla Cina”
Pubblicato
3 ore fa-
20 Maggio 2025di
Redazione
ROMA (ITALPRESS) – “Per troppo tempo l’approccio europeo si è limitato ad accumulare regole, scadenze e sanzioni, spesso anche in modo poco coerente, ma di fronte a un cambiamento sistemico questo non può più funzionare: abbiamo bisogno che le istituzioni facciano da direttore d’orchestra per coordinare tutti gli attori delle nuove catene del valore, dalle miniere ai costruttori fino agli operatori delle infrastrutture e dell’energia elettrica”. Lo afferma l’amministratore delegato di Renault Group Luca De Meo, nel corso di un’audizione dinanzi alla commissione Attività produttive alla Camera.
“Questa strategia deve essere olistica e tagliare orizzontalmente i vari settori – continua De Meo -. Inoltre i nuovi regolamenti non si devono contraddire a vicenda, questo lo viviamo spesso in Europa. Nel 2024 la quota di auto elettriche nel mercato si è limitata al 13,6% in Europa e il 5% in Italia: siamo lontani dalle previsioni che individuavano una quota del 25% per quest’anno, già nel 2024 scorso avevo posto l’attenzione sulla mancanza di sviluppo del mercato elettrico. Le regolamentazioni devono diventare strumenti strategici per renderci più competitivi ed efficienti: possiamo anche pensare di armonizzare le regole della mobilità, così da non avere specificità locali”.
“Il mercato è debole e l’età media di chi acquista un’auto nuova in Europa è di 56 anni, mentre nel 2005 era di 47 anni: in Cina oggi sono i 30enni ad acquistare un’auto, a monte c’è il problema del potere di acquisto delle classi medie e un pessimismo dominante tra i consumatori del futuro. Per noi non è facile quando si propongono auto elettriche a prezzi che vanno fino al 50% in più delle vetture a combustione, con tassi di interesse aumentati e infrastrutture di ricarica solo al 20% dell’obiettivo – sottolinea De Meo -: bisogna mantenere un sistema stabile di contributi per l’acquisto delle vetture o attuare una defiscalizzazione delle auto elettriche. Il consumatore va accompagnato in questa transizione con toni rassicuranti ed evitando di esporlo a messaggi discordanti: in Europa l’elettricità costa il doppio rispetto alla Cina e il triplo rispetto agli Stati Uniti, mentre i costi di produzione dei veicoli sono superiori del 30% rispetto alla Cina. Ci troviamo in un momento critico per l’industria europea, ma abbiamo gli strumenti per riprendere il controllo se facciamo le cose giuste”.
“Chiediamo di evitare una forma di antagonismo tra una tecnologia e l’altra, com’è avvenuto negli ultimi dieci anni tra elettrico e motore a combustione: abbiamo una finestra dai tre ai cinque anni per reagire alla potenza del sistema cinese, che ha sviluppato una strategia industriale in cui prevede che l’automobile sia uno dei cinque ambiti su cui puntare sul piano economico – ha aggiunto De Meo – In Europa bisogna capire se l’automotive può ancora essere una delle locomotive del progresso. Ai livelli di crescita attuali se perdiamo l’industria automobilistica ci metteremo dieci anni per compensare tale lacuna. Per riportare i giovani sul mercato dell’automotive dobbiamo fare prodotti più accessibili, quindi con vetture più piccole e tecnologicamente sofisticate, ma bisogna anche offrirgli un potere d’acquisto diverso da quello che hanno ora”.
“Per l’Europa c’è ancora possibilità di recuperare il ritardo accumulato in ambito automotive rispetto ai principali competitor asiatici: serve però agire subito, cambiando il paradigma con una strategia industriale robusta che punti all’obiettivo della neutralità tecnologica attraverso tutte le innovazioni e tecnologie a disposizione dall’industria. La velocità è fondamentale, per cui risulta urgente snellire e semplificare la mole di burocrazia europea, che ha l’effetto di un ulteriore e pesante aggravio di costo. Gli investimenti sia in ricerca e sviluppo sia in nuovi mezzi di produzione devono rinsaldare un assetto produttivo che da sempre guarda a qualità e affidabilità come al principale caposaldo. Leve a cui aggiungere anche quella fiscale, attraverso per esempio una maggiore deducibilità promossa a livello europeo sui costi legati al rinnovamento delle flotte aziendali, che da sole incidono su circa la metà del parco macchine circolante, peraltro con un’età media superiore al decennio. Le sfide del futuro non si affrontano domani ma oggi”. Così Alberto Luigi Gusmeroli, Presidente della commissione Attività produttive, Commercio e Turismo di Montecitorio, commentando l’audizione del Presidente e AD di Renault Luca de Meo sul piano d’azione industriale europeo per l’automotive.
-Foto ufficio stampa Camera dei Deputati-
(ITALPRESS).
Economia
Confindustria, incertezza e dazi frenano export e investimenti
Pubblicato
1 giorno fa-
19 Maggio 2025di
Redazione
ROMA (ITALPRESS) – Il Pil italiano è cresciuto più del previsto nel primo trimestre 2025 (+0,3%), con l’industria che ha interrotto il suo lungo calo. Nel secondo, però, i dazi e le alterne decisioni dell’amministrazione Trump tengono alta l’incertezza e bassa la fiducia, frenando principalmente export e investimenti.
E’ quanto sottolinea il Centro studi di Confindustria nella congiuntura flash, secondo cui le minori attese di crescita, tuttavia, riducono il prezzo dell’energia, agevolando il taglio dei tassi in Europa. A marzo la produzione industriale è aumentata (+0,1%), chiudendo il primo trimestre in recupero (+0,4%), dopo cinque trimestri in calo, anche se l’indice RTT indica minor fatturato.
I dazi colpiscono principalmente l’industria e i primi dati di aprile, post-dazi, sono misti: il PMI segnala che la flessione si è quasi esaurita (49,3 da 46,6), ma la fiducia scende per il secondo mese di fila, su valori bassi. Il proseguire della crescita dell’occupazione fornisce slancio al reddito reale delle famiglie in avvio di 2025, ma il calo della fiducia a marzo-aprile potrebbe preludere a un nuovo aumento della propensione al risparmio.
Le vendite al dettaglio si sono ridotte nel 1° (-0,5%), mentre le immatricolazioni di automobili in Italia sono in lieve recupero (+2,7% annuo in aprile). Gli indicatori mensili per gli investimenti sono tutti orientati in negativo nei primi 4 mesi del 2025: continua a diminuire la fiducia delle imprese, per il terzo mese di fila (91,5 in aprile, da 93,2); si segnala un forte aumento dell’incertezza; i giudizi sugli ordini di beni strumentali sono pressoché stabili su bassi livelli e calano le attese sui nuovi ordinativi, indizio di domanda debole. L’inflazione è alta negli Usa (+2,3% in aprile), dove è attesa crescere per l’effetto dei dazi sui prezzi dell’import, cui si aggiunge la svalutazione del dollaro.
È poco più bassa nell’Eurozona (+2,2%), ma qui calerà per il ribasso energetico e il rafforzamento dell’euro. Ciò significa che la Bce proseguirà con i tagli dei tassi nel 2025 (già a 2,25%), mentre la Fed potrebbe restare in attesa, con tassi fermi a 4,50%. Questo stimolerà il credito per le imprese italiane (-1,1% annuo a marzo).
– Foto IPA Agency –
(ITALPRESS)
Economia
Lufthansa commercializza capacità cargo sulle rotte ITA Airways, Fiumicino il 5° hub
Pubblicato
1 giorno fa-
19 Maggio 2025di
Redazione
ROMA (ITALPRESS) – A partire da giugno, Lufthansa Cargo inizierà la commercializzazione della capacità cargo sulle rotte ITA Airways. Con l’inserimento di Roma Fiumicino come hub cargo per l’Europa del Sud, il vettore aggiunge al suo già denso network ulteriori tratte, capacità e destinazioni nel mondo.
Sui voli a partire dal 16 giugno, Lufthansa Cargo inizierà ad applicare il proprio codice AWB alle operazioni cargo da San Paolo (GRU), Rio de Janeiro (GIG) e Buenos Aires (EZE) a Roma Fiumicino (FCO). Su tutte le altre tratte, inizialmente, entrambe le compagnie continueranno ad operare sotto due distinti codici AWB.
A seguito delle approvazioni regolatorie, Lufthansa Cargo comincerà a commercializzare gradualmente la capacità su tutte le rotte continentali e intercontinentali di ITA Airways sotto il proprio codice AWB. Complessivamente, la capacità cargo di cui dispone Lufthansa Cargo aumenterà di quasi il 20%. In futuro, la clientela cargo avrà accesso ad un network globale ancora più vasto, potendo disporre della capacità cargo dell’intero Gruppo Lufthansa, che mette in connessione tutti i principali centri economici europei e globali.
“Insieme al nostro partner ITA Airways, siamo emozionati di poter offrire ai nostri clienti un ventaglio di tratte ancora più attraente, capacità aggiuntiva e ulteriori soluzioni da e verso l’Europa come anche a livello globale, affinché le loro necessità di trasporto possano essere soddisfatte. L’espansione del nostro network rinforza ulteriormente l’obiettivo di Lufthansa Cargo di agevolare il business globale. Oltre a Francoforte, Monaco, Vienna e Brussels, Roma sarà il nostro quinto hub, che ci aiuterà ad offrire ai nostri clienti soluzioni flessibili e di qualità. I clienti potranno beneficiare di connessioni ancora più affidabili e veloci da e per l’Europa del Sud, e usufruire dei rinomati servizi Lufthansa Cargo anche via Roma”, ha spiegato Ashwin Bhat, Ceo di Lufthansa Cargo.
Joerg Eberhart, Ceo e direttore generale di ITA Airways, ha affermato: “Siamo felici di approfondire le sinergie con il Gruppo Lufthansa nel settore cargo. Grazie all’estesa flotta del Gruppo Lufthansa, combinata con la capacità di ITA Airways, i nostri clienti beneficeranno di un servizio migliorato e un network più ampio, sfruttando le destinazioni fornite dal Gruppo e valorizzando l’alto potenziale di Fiumicino, il nostro hub”.
– Foto IPA Agency –
(ITALPRESS)

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