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Economia

Filiera legno-arredo, nel 2021 oltre 49 mld di fatturato

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ROMA (ITALPRESS) – Che per la filiera del legno-arredo il 2021 sia stato un anno da incorniciare lo avevano già evidenziato i preconsuntivi elaborati poco tempo fa dal centro studi FederlegnoArredo. A confermarlo, adesso, sono i consuntivi che mettono in evidenza una ripresa del settore avviata già negli ultimi mesi del 2020: il fatturato alla produzione dell’intero settore, pari a 49,3 miliardi di euro, è aumentato complessivamente in valore del 25,5% sul 2020, confermando la doppia cifra anche sul 2019 con un +14%, pari a circa 6 miliardi in più di fatturato e un saldo commerciale di 8,2 miliardi. A determinare il dato complessivo è sì l’andamento delle esportazioni che rappresentano il 37% del fatturato totale e hanno un valore pari a oltre 18 miliardi di euro, (+20,6% sul 2020 e +7,3% sul 2019), ma è soprattutto la dinamicità del mercato italiano che ha sfiorato i 31 miliardi di euro (+28,7% sul 2020, +18,4% sul 2019), indubbiamente spinto dai bonus edilizi messi in campo dal Governo che hanno avuto un impatto trainante su tutti i comparti dell’arredo e del legno legati al settore residenziale. Dopo la crisi economica globale che nel 2020 ha colpito duramente il nostro Paese e non solo, il 2021 ha rappresentato, pur tra notevoli difficoltà (materie prime, caro-energia, logistica e trasporti), un anno importante nel consolidamento della ripresa del settore e per l’Italia questo ha significato anche una rinvigorita dinamica delle esportazioni. “È ovvio che stante la situazione attuale diventa difficile, per non dire impossibile, azzardare previsioni per l’anno in corso e il rischio concreto è che una brusca frenata nei consumi e il clima di incertezza e preoccupazione dovuto alla guerra in Ucraina, vanifichi il recupero del 2021 – sottolinea FederlegnoArredo -. Ciò nonostante, l’impegno delle imprese è sempre rivolto alla ricerca di prodotti e materiali innovativi, di nuovi mercati e a uno nuovo sviluppo del settore che ha nella sostenibilità un elemento imprescindibile per la competitività internazionale”.
“All’inizio dell’anno la speranza era di tornare a una situazione di maggiore normalità e di rallentamento dei prezzi. Purtroppo – spiega Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo – la crisi in Ucraina ha peggiorato lo scenario, portando a ulteriori aumenti delle materie prime e a una grave carenza di legno, che proviene in gran parte proprio dai territori interessati direttamente o indirettamente dal conflitto, per un valore complessivo che supera i 200 milioni di euro all’anno. Basti pensare che con l’ultimo pacchetto di sanzioni europee verso la Russia è vietato acquistare, importare o trasferire nell’Unione, direttamente o indirettamente, se sono originari della Russia o sono esportati dalla Russia, legno, carbone di legna e lavori di legno di qualsiasi specie legnosa, sia essa di latifoglie che di conifere (quindi non solo betulla). In altre parole tutto. Siamo pertanto convinti – rimarca Feltrin – che questo sia il momento opportuno, e non più rimandabile, per diventare più autonomi mettendo da subito in atto le azioni necessarie per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla Strategia forestale nazionale basata su una gestione rispettosa dell’ambiente, sullo sviluppo della filiera italiana del bosco e delle nostre segherie. Facciamo sì che questa immane tragedia umana ed economica che è la guerra dia almeno l’input per fare quello che viene rimandato da troppo tempo. Ci stiamo impoverendo di materia prima, mettendo a rischio il nostro settore e la sua concorrenzialità a tutto vantaggio ad esempio di Cina e Turchia. Non lasciamo che il legno ‘diventi il nuovo gas’”.
“Le aziende costruttrici di pannelli, imballaggi, tetti, porte, parquet, finestre e altre parti di arredo che utilizzano il legno sono coinvolte in un pericoloso effetto domino. Come Federazione – sottolinea Feltrin – stiamo lavorando su più tavoli istituzionali, sia italiani che europei, proprio in tal senso e per sostenere le nostre aziende, alcune delle quali stanno già interrompendo a singhiozzo la produzione perché antieconomica o perché prive di materia prima sufficiente a evadere gli ordini. Ad oggi, grazie alle nostre pressioni, supportate dall’evidenza dei fatti, nel Dl Ucraina bis almeno le aziende del legno risultano fra quelle che, ricorrendo agli ammortizzatori sociali, sono esonerate dal pagamento del contributo addizionale. Non solo, per accedere alla cassa integrazione ordinaria, oltre alla mancanza di lavoro o di commesse e alla crisi di mercato, anche la ‘mancanza di materie prime o componenti’ è diventata requisito per l’accesso. Non è certo la soluzione, ma è comunque un risultato. Adesso dobbiamo concentrarci soprattutto sul sostegno alle aziende più colpite individuando adeguati strumenti di trasformazione e di consolidamento o ‘approdo’ in alcuni mercati ritenuti fino ad oggi secondari. I dati dell’export confermano che l’Europa è ancora il bacino più importante per il legno-arredo e dobbiamo difendere assolutamente questo primato, cercando di consolidarci sempre di più anche negli Stati Uniti e tenendo d’occhio il colosso cinese che ha registrato un +9,4% sul 2019, ma che può contemporaneamente diventare un temibile competitor in grado di acquistare materia prima a prezzi per noi improponibili”.
(ITALPRESS).

Economia

Dolore di dollari: Bini Smaghi e la scossa in arrivo dagli Usa di Trump

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di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Debito in traiettoria “insostenibile”, dollaro più debole, inflazione che rischia di riaccendersi proprio mentre la politica spinge per tagliare i tassi. È l‘istantanea – tutt’altro che rassicurante – che Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale, ha offerto in una conversazione al GEI con Mario Calvo Platero, leggendo i fondamentali dell’economia statunitense sotto l’amministrazione Trump.

Il punto di partenza è fiscale. Citando le nuove proiezioni del Fondo Monetario, Bini Smaghi ha ricordato che il rapporto debito/Pil degli Stati Uniti – dato al 121-122% nel 2024 – è ora proiettato verso il 140% a fine decennio. La ragione è duplice: spesa pubblica in crescita per invecchiamento e welfare, e imposte che non aumentano per costo politico. “Siamo su una traiettoria chiaramente insostenibile – ha avvertito – e questo è un problema non solo per gli USA ma per il mondo, perché al centro del sistema finanziario c’è la credibilità del dollaro e del Treasury come ancora di liquidità globale”.

Sul versante monetario, l’ex banchiere centrale ha sottolineato un bivio: “La Federal Reserve è sotto pressione politica e, tra pochi mesi, i membri nominati da Trump potrebbero fare maggioranza nel Board”. Da qui il rischio di spinte verso tagli dei tassi incompatibili con i dati: in un’economia “in piena occupazione”, con disoccupazione bassissima e un deficit strutturale che il FMI vede “intorno al 7% nei prossimi anni”, il pericolo è che l’inflazione si assesti di colpo “al 3-3,5%”. Se accadesse, “i mercati prezzerebbero meno tagli, salirebbe l’intera curva dei rendimenti e verrebbero rimesse in discussione le valutazioni azionarie costruite sull’ipotesi di tassi in calo”.

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Capitolo cambio. Bini Smaghi non legge l’euro/dollaro attuale come fuori scala (“negli ultimi dieci anni oscillazioni tra 1,05-1,25 sono state frequenti”), ma mette in guardia dalla combinazione pericolosa di “dollaro debole verso molti e euro molto forte in termini effettivi”, complice anche la scelta della BCE di accelerare il quantitative tightening, mentre Fed e Bank of England l’hanno rallentato per non spingere troppo in alto i rendimenti a lunga.

Risultato: l’Europa paga “il prezzo di una moneta più credibile proprio quando Francia e Germania rallentano”, con effetti sulla competitività delle esportazioni. Guardando allo stock di debito, Bini Smaghi ha proposto un confronto storico: negli ultimi 25 anni il debito USA è passato da circa 50% del Pil a oltre 120%, “più che raddoppiato”, mentre nell’area euro dal 60% all’80%.

Eppure gli USA hanno beneficiato di crescita più alta e tassi più bassi. “Il problema – ha spiegato – è un disavanzo medio vicino al 6% annuo, il doppio di quello europeo: per ridurlo o si taglia la spesa o si alzano le tasse, opzioni politicamente indigeste”. Sullo scenario esterno, i dazi (fino a oltre il 100% su alcuni prodotti, come la pasta) e la ri-politicizzazione del commercio producono – secondo Bini Smaghi – effetti meno immediati del previsto su prezzi e crescita, “compensati da altri fattori” (borsa tonica, condizioni finanziarie ancora vivibili). Ma il terremoto istituzionale resta: “Se si erodesse la fiducia nell’ancora del sistema – il dollaro – l’onda d’urto arriverebbe anche sulle economie europee”.

Tra i rischi settoriali, Bini Smaghi ha indicato una possibile bolla negli investimenti in AI, per l’enorme fabbisogno di capex ed energia dei data center, e il potenziale stress per i settori tradizionali più sensibili ai tassi (credito al consumo e filiere correlate). Quanto alle banche, i conti USA del terzo trimestre sono “molto buoni” grazie a trading e a un’M&A che l’AI potrebbe alimentare; in Europa “arriverà più tardi”. Ma un rallentamento con tassi alti può tradursi in sofferenze. Sulla vigilanza ha notato come il sistema sia “più capitalizzato e meglio presidiato” rispetto al 2008-09. (Su alcuni profili bancari, Bini Smaghi ha preferito rimanere off the record). Nel quadro geopolitico, Bini Smaghi vede una rottura di fiducia europea verso la dipendenza tecnologica dagli USA (e dalla Cina): “Cloud, pagamenti, digitale: si cercano alternative. È lento, ma è un obiettivo condiviso”.

Intanto, sul fronte dei mercati, la sua “brutta notizia” è nitida: se nei prossimi mesi l’inflazione americana tenesse sopra il 3% e la Fed non potesse tagliare, l’aggiustamento dei prezzi degli asset “potrebbe essere brusco” e “lo sentiremmo tutti”.

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– Foto IPA Agency –

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Economia

Mimit, Mase e Confindustria a supporto delle imprese sulle materie prime critiche

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ROMA (ITALPRESS) – Informare le imprese italiane sulle potenzialità e le opportunità della nuova call della Commissione europea in materia di progetti strategici nell’ambito del Regolamento UE sulle materie prime critiche. Questo l’obiettivo dell’incontro a Palazzo Piacentini promosso dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in collaborazione con Confindustria, per l’occasione rappresentata dal delegato all’Aerospazio Giorgio Marsiaj.

“L’attuale contesto geopolitico richiede all’Europa di sviluppare nuove capacità di estrazione, raffinazione e riciclo delle materie prime critiche, per sostenere la doppia transizione verde e digitale e rafforzare la competitività e la resilienza del suo tessuto industriale: abbiamo il dovere, l’urgenza e la necessità di contribuire all’autonomia strategica del nostro continente. Il Mimit è in campo per supportare le imprese affinché presentino, in questo secondo bando, progetti significativi nel nostro Paese”, ha sottolineato il ministro Urso.

“Le materie prime critiche sono una delle chiavi per lo sviluppo tecnologico e sostenibile del futuro. Per questo il nostro impegno deve essere massimo. Questa seconda call è un’opportunità per definire meglio le direttrici di lavoro, valorizzando il sistema produttivo italiano fatto di pmi. Dobbiamo sviluppare consapevolezza e mobilitare la filiera domestica, rendendola sempre più integrata e connessa. Il quadro geopolitico attuale ci deve portare all’azione: abbiamo bisogno del supporto delle nostre aziende e dell’innovazione che l’Italia può fornire in questo settore”, ha dichiarato il ministro Pichetto Fratin.

“L’approvvigionamento sicuro e stabile delle materie prima critiche è un tema strategico per la competitività e la sicurezza industriale nazionale ed europea. L’Italia, grazie alle sue eccellenze manifatturiere e alla collaborazione tra istituzioni, ricerca e imprese, può diventare un hub nel Mediterraneo per garantire la sicurezza delle catene di fornitura. Confindustria sosterrà pienamente i ministeri competenti in questa sfida”, ha dichiarato Marsiaj.

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Mimit, Mase e Confindustria accompagneranno le imprese in questa nuova fase del bando, supportando e favorendo la condivisione delle esperienze maturate, con l’obiettivo di valorizzare le competenze nazionali e consolidare la leadership industriale italiana nella nuova economia delle materie prime.

-Foto ufficio stampa Mimit-
(ITALPRESS).

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A settembre l’indice nazionale dei prezzi al consumo cala del -0,2% su base mensile e aumenta del 1,6% su base annua: i dati Istat

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ROMA (ITALPRESS) – Nel mese di settembre 2025, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, evidenzia una variazione del -0,2% su base mensile e del +1,6% su base annua (come nel mese precedente), confermando la stima preliminare.

La stabilità del tasso d’inflazione sottende andamenti differenziati dei diversi aggregati di spesa: sono in rallentamento i prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +3,5% a +2,4%), degli Alimentari non lavorati (da +5,6% a +4,8%) e in accelerazione quelli degli Energetici regolamentati (da +12,9% a +13,9%), a cui si aggiunge la ripresa dei prezzi degli Energetici non regolamentati (da -6,3% a -5,2%). Nel mese di settembre l’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, decelera (da +2,1% a +2,0%), come quella al netto dei soli beni energetici (da +2,3% a +2,1%).

La dinamica tendenziale è stabile per i prezzi dei beni (+0,6%), mentre quella dei servizi si attenua lievemente (da +2,7% a +2,6%). Dunque, il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni scende a +2,0 punti percentuali, dai +2,1 p.p. del mese precedente. I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona decelerano (da +3,4% a +3,1%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto accelerano (da +2,3% a +2,6%). La variazione congiunturale negativa dell’indice generale riflette soprattutto la diminuzione dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (-3,3%) e degli Alimentari lavorati (-0,5%), parzialmente attenuata dalla crescita dei prezzi degli Alimentari non lavorati (+0,6%).

L’inflazione acquisita per il 2025 è pari a +1,7% per l’indice generale e a +2,0% per la componente di fondo. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, registra una variazione del -0,1% su agosto e del +1,4% su settembre 2024. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta di 1,3% su agosto, per effetto della fine dei saldi estivi di cui il NIC non tiene conto, e dell’1,8% rispetto a settembre 2024 (da +1,6% del mese precedente), confermando la stima preliminare. Nel terzo trimestre 2025 i prezzi al consumo, misurati dall’IPCA, evidenziano aumenti più contenuti per le famiglie con bassi livelli di spesa (+1,7%) e lievemente più alti per quelle con livelli di spesa elevati (+1,8%).

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-Foto IPA Agency-
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