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Economia

Bergamo, Trento e Bolzano sul podio della qualità della vita

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ROMA (ITALPRESS) – La trentacinquesima edizione della Qualità della Vita del Sole 24 Ore, indagine lanciata nel 1990 per misurare i livelli di benessere nei territori italiani ed i cui risultati della 35ma edizione sono presentati oggi sulle pagine del quotidiano, segna la vittoria della provincia di Bergamo: mai premiata prima d’ora nella classifica generale, ma già incoronata regina dell’Indice di Sportività 2024, la provincia orobica aveva già scalato diverse posizioni nel 2023 e quest’anno ha scalzato habitué del podio come Trento, al secondo posto, e Bolzano, al terzo. All’ultimo posto troviamo Reggio Calabria, maglia nera di una classifica che vede le ultime 25 posizioni tutte occupate da province del Mezzogiorno.
L’indagine fotografa il benessere nelle province italiane con 90 indicatori divisi in sei categorie: ricchezza e consumi; affari e lavoro; ambiente e servizi; demografia, società e salute; giustizia e sicurezza; cultura e tempo libero.
La top 10 della classifica è lo specchio di un Paese in cui le grandi città cominciano a manifestare diverse fragilità: l’unica presente è Bologna, al nono posto, in calo di sei posizioni rispetto all’edizione 2023. Per il resto, trionfano le medie province: Monza e Brianza (4° posto), seguita da Cremona e Udine, vincitrice lo scorso anno, Verona e Vicenza. A chiudere, dopo Bologna, è Ascoli Piceno.
Vince il versante nord orientale, con tre province lombarde, le due province autonome del Trentino Alto Adige, due venete, una emiliana e una marchigiana.
Le città metropolitane registrano un crollo diffuso: Bologna scende di 7 posizioni, Milano di 4 passando al 12° posto, Firenze (36° posto) segna un -30 dopo essere stata in zona top 10 per tre anni consecutivi e Roma scende di -24 posizioni piombando al 59° posto. Torino perde 22 posizioni, arrivando al 58° posto subito davanti alla Capitale. Napoli è penultima, mentre Bari è tra le poche a salire: un aumento di 4 posizioni la porta al 65° posto.
Le grandi aree metropolitane scontano, a confronto con l’anno scorso, sia la presenza di alcuni indicatori di nuova introduzione come la disuguaglianza nel reddito e le mensilità di stipendio necessarie ad acquistare casa, entrambi inseriti nella categoria Ricchezza e consumi. Ma anche alcuni dati che testimoniano, per esempio, la fine della corsa del Pil pro capite: il dato, rapportato al 2023, sale di più al Sud.
Le classifiche di tappa si confermano sei: Biella vince in Ricchezza e consumi; Milano mantiene la sua leadership in Affari e Lavoro; Brescia è prima in Ambiente e servizi; Bolzano è leader in Demografia, salute e società; Ascoli Piceno guida la classifica di Giustizia e sicurezza; Trieste è la migliore per Cultura e tempo libero.
Una menzione a parte va a Firenze che vince la quarta edizione della Qualità della vita delle donne, un indice sintetico basato su 12 parametri (Tasso di occupazione, Imprese femminili, amministratrici donne di imprese e di entri locali, quota di laureate, tra gli altri) che va poi a confluire nella classifica generale, nella categoria Demografia, salute e società.
La classifica è una media delle medie calcolata su 90 indicatori da fonti certificate (Istat, Banca d’Italia, Istituto Tagliacarne, Infocamere e molti altri), su base provinciale e rapportati alla popolazione residente, divisi in sei categorie: ricchezza e consumi; affari e lavoro; ambiente e servizi; demografia, salute e società; giustizia e sicurezza; cultura e tempo libero. L’obiettivo è rappresentare un concetto multisfaccettato come quello della Qualità della vita indagandone i vari aspetti. Dei 90 indicatori fanno parte anche dieci indici sintetici che nel corso dell’anno sono stati pubblicati sul Sole 24 Ore: l’Indice del Clima, i tre Indici Generazionali (Qualità della vita di Anziani, Giovani, Bambini); l’Indice di Sportività, l’Indice della Criminalità; Ecosistema Urbano; l’Indice di Fragilità del Territorio; Icity Rank e l’Indice della Qualità della vita delle donne.
Alcuni indicatori sono rimasti uguali a quelli delle precedenti edizioni: dai depositi bancari alla raccolta differenziata, passando per gli iscritti all’Aire e il numero di librerie. Altri, in totale 27, sono di nuova introduzione: i rischi di frane e alluvioni, le mensilità di stipendio necessarie per acquistare casa, gli omicidi. L’indagine, che ha debuttato nel 1990, ogni anno si rinnova dando spazio a indicatori che possono raccontare al meglio l’evoluzione della società e dei territori.
Novità di quest’anno è un progetto, messo a punto in collaborazione con l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), nato per analizzare gli indicatori della Qualità della vita in modo trasversale per esplorare l’attuazione sul territorio del più grande programma di azione a livello globale, quello dell’Agenda 2030 dell’Onu, teso alla gestione delle grandi sfide del pianeta, quali l’estrema povertà, i cambiamenti climatici, il degrado dell’ambiente e le crisi sanitarie.
L’analisi riconduce i 90 indicatori, e non solo (sono inclusi in tutto oltre 120 parametri su base provinciale), a 15 dei 17 Goal dell’Agenda. Ne emerge un affresco dei territori che in base a questi parametri si avvicinano più o meno ai Goal rappresentati. Il progetto conta undici classifiche, elaborate con la stessa metodologia della Qualità della vita dopo aver raggruppato gli indicatori in base ai target: ogni graduatoria restituisce i divari territoriali nell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Ne sono emerse case fotografie interessanti: Bologna risulta la più vicina al raggiungimento del Goal sull’«Istruzione di qualità» che, tra gli altri target, si propone di ridurre al di sotto della quota del 9% l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione (solo il 19% ha un titolo di studio inferiore alla terza media tra i 25 e i 49 anni) oppure di raggiungere la quota del 50% dei laureati (che già supera il 46% tra i 25 e 39 anni). Milano, invece, si distingue nel Goal 8 «Lavoro dignitoso e crescita economica» che, tra gli altri obiettivi, si propone di raggiungere la quota del 78% del tasso di occupazione entro il 2030 (qui il tasso è già al 76,5%). Verbano-Cusio Ossola, La Spezia e Varese si distinguono nel goal 11 sulle «Città e comunità sostenibili» e Oristano nel target 16 «Pace, giustizia e istituzioni solide» soprattutto grazie al basso tasso di criminalità denunciata.

– Foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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Stellantis, Filosa “L’Italia è al centro del progetto strategico”

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ROMA (ITALPRESS) – L’impegno di Stellantis con l’Italia non è in discussione, per noi di Stellantis l’Italia è al centro del progetto strategico che abbiamo del nostro futuro e lo stiamo dimostrando con fatti concreti. Dopodomani lanceremo la Jeep Compass a Melfi in Basilicata, fra un mese lanceremo la Fiat 500 ibrida a Mirafiori a Torino”. Così il Ceo di Stellantis, Antonio Filosa, ospite a “Cinque minuti” su Rai1. “È anche vero che abbiamo annunciato un investimento di 13 miliardi di dollari in quattro anni negli Stati Uniti, un mercato che esprime 16 milioni di vetture vendute all’anno. Il nostro impegno con l’Italia – ha aggiunto – è investire il primo anno 2 miliardi di euro, acquistare nel primo anno del Piano Italia 6 miliardi di euro in componenti e servizi dai nostri fornitori per un mercato che esprime da 1,5 a 2 milioni di vetture vendute l’anno. Come si vede dai numeri, sono due piani straordinari e ugualmente competitivi”.

“C’è una differenza tra l’Europa e gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti con la nuova amministrazione hanno trasformato le regole con un pragmatismo unico e rapidissimo, e quindi hanno restituito agli americani la scelta di comprare la vettura che vogliono. In Europa le regole sono ancora restrittive e devono essere in modo urgente modificate. Abbiamo bisogno che queste regole riflettano la realtà del mercato e restituiscano ai clienti europei la libertà di scegliere la macchina che vogliono, come negli Stati Uniti – ha detto Filosa – Noi stiamo chiedendo quattro cose. La prima è aprire al concetto di neutralità tecnologica, che vuol dire esattamente questo. La seconda è aprire al concetto di rinnovamento del parco circolante, in Europa oggi ci sono 256 milioni di vetture, 150 milioni hanno più di 12 anni e quindi inquinano di più di quelle moderne. Terza cosa, vogliamo un focus specifico sulle vetture piccole per le quali l’Italia è leader mondiale. Quarta cosa, abbiamo bisogno che i target sui veicoli commerciali siano modificati con urgenza, perché sono irraggiungibili”, ha aggiunto.

“La competitività nel nostro settore è fatta da una somma di fattori interni ed esterni, e su alcuni fattori interni l’Italia è assolutamente imbattibile. Il design italiano, a Torino abbiamo molti designer e uno dei centri di design automobilistico più grande del mondo che progetta per l’Italia e per il mondo, abbiamo 3.500 giovani ingegneri a Torino che progettano per l’Italia e per il mondo. Esistono fattori esterni che non dipendono da noi, come il costo dell’energia. In Spagna nel 2024 un megawattora ci costa dai 70 agli 80 euro, in Italia nello stesso anno la stessa quantità di energia ci costa più del doppio, 182 euro. Stiamo parlando con il Governo italiano, sono ricettivi, stiamo intrattenendo con loro un dialogo costruttivo e speriamo di arrivare a conclusioni favorevoli”, ha proseguito Filosa.

“I costruttori cinesi, per quanto agguerriti nella loro concorrenza, non sono il vero problema. Il problema sono regolamentazioni che partono da Bruxelles che non sono realistiche e stanno indebolendo quello che di meglio abbiamo, ovvero l’industria automobilistica europea e italiana. Se cambiano queste regolamentazioni, noi abbiamo di tutto per tornare a quello che eravamo prima: design, innovazione, tecnologia e progettualità”, ha concluso Filosa.

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-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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Meloni “Dalle banche 5 miliardi su 44 di profitti. Chieste risorse a chi ha avuto grandi benefici”

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ROMA (ITALPRESS) – “Non vogliamo tassare la ricchezza prodotta dalle aziende, perchè daremmo un segnale sbagliato. Vogliamo un contributo sulla rendita accumulata per condizioni di mercato che la politica del governo ha fortemente contribuito a creare”. Così la premier Giorgia Meloni a Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, nel nuovo libro di Bruno Vespa “Finimondo”, in uscita giovedì 30 ottobre per Mondadori-Rai Libri. “Ho spiegato – continua Meloni – che per mantenere i conti in ordine, occorrono delle risorse e le abbiamo chieste a chi, grazie a questa politica, ha avuto dei grandi benefici”.

“Se cresce lo spread, se sale il rating dell’Italia, se le banche hanno potuto approfittare dei 200 miliardi messi a disposizione dal governo Conte per rinegoziare con la garanzia dello Stato prestiti che avevano già erogato, o dei crediti del superbonus, sempre grazie a Giuseppe Conte, è giusto che quelle stesse banche ci diano una mano a continuare in una politica così profittevole. Se su 44 miliardi di profitti nel 2025 ce ne mettono a disposizione circa cinque per aiutare le fasce più deboli della società, credo che possiamo essere soddisfatti noi e che in fin dei conti possano esserlo anche loro”, aggiunge Meloni.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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Mastrapasqua “Collegare le pensioni al numero dei figli. La crisi demografica impone scelte forti”

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ROMA (ITALPRESS) – L’idea di collegare la pensione al numero di figli che si fanno “è tutt’altro che un azzardo”. Lo dice in un’intervista all’Italpress l’ex presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua. “La crisi demografica impone scelte forti – afferma -. Peraltro l’idea di collegare una migliore prestazione previdenziale in funzione del numero dei figli era contenuta anche nella legge Dini del 1995. Ma era rimasta tra le pieghe della riforma previdenziale e soprattutto all’epoca non c’era la crisi demografica con cui oggi dobbiamo confrontarci. L’Istat pochi giorni fa ci ha ricordato che nel 2024 le nascite sono state 369.944, in calo del 2,6% sull’anno precedente e del 42,2% rispetto al 1995, quando venne predisposta la riforma Dini di cui abbiamo parlato“. La crisi demografica mette in crisi tutto il sistema del welfare? “Certo, a cominciare dalle pensioni. Il sistema previdenziale a ripartizione, che vige in Italia, è un’ottima forma di patto generazionale, a condizione che ci siano nuove generazioni – evidenzia -. Con il sistema a ripartizione la mia pensione sarà pagata dai contributi di mio figlio, così come io ho pagato quella di mio padre. E senza nuovi nati non ci saranno nuovi lavoratori, meno lavoratori vuol dire un Pil più basso, meno contributi previdenziali e pensioni più magre. Bisogna invertire questo trend, in maniera radicale”.

Non bastano i bonus per favorire le famiglie che fanno più figli? “I bonus sono necessari, ma non sufficienti – replica Mastrapasqua -. Serve uno shock. E quindi bisogna immaginare una convenienza forte, una scommessa sul futuro proprio, della propria famiglia, del proprio Paese. Ma soprattutto una occasione per migliorare la propria condizione”. Mastrapasqua propone un aumento di 800-1000 euro al mese per la pensione di chi fa più di due figli. “Questo serve. Si tratta di avere il coraggio di progettare una proposta “disruptive” che coniughi esplicitamente l’”investimento” di fare figli con un premio a lunga scadenza: nell’orizzonte di un risparmio finanziario potremmo paragonare a un Btp trentennale, non incassabile fino a scadenza. Comunque – spiega – si deve poter contare su una grande convenienza; non un semplice ritocco al coefficiente di trasformazione come prevede la Dini del ’95, quando la crisi demografica era solo all’orizzonte. Ci vuole un intervento radicale, che assicuri un incremento di almeno il 50% della prestazione previdenziale raggiunta a scadenza, di vecchiaia o anzianità per i genitori che mettono al mondo almeno due figli. Un patto generazionale con una obbligazione dello Stato”.

Solo per le madri? “La Dini prevedeva il beneficio, assai modesto, solo per le madri. Credo che oggi sia il tempo di ragionare su entrambi i genitori, che devono poter contare su un grande incremento della futura prestazione previdenziale”, conclude Mastrapasqua.

– foto IPA Agency –

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