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Economia

Il rapporto della Banca d’Italia “Sistema finanziario stabile, ma pesa l’incertezza estera”

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MILANO (ITALPRESS) – Un contesto macrofinanziario stabile rispetto a novembre, ma altamente sensibile ad uno scenario imprevedibile dominato dall’incertezza a livello internazionale. È questa la descrizione dell’Italia contenuta nel Rapporto sulla stabilità finanziaria redatto e presentato oggi dalla Banca d’Italia. Pur permanendo elementi di vulnerabilità quali l’alto debito pubblico e la scarsa crescita dell’economia, ci sono anche elementi che rendono i rischi per il sistema finanziario italiano moderati.

Tra questi la solidità del settore bancario e del mercato del lavoro, una bassa inflazione e il miglioramento della posizione netta sull’estero. Il principale fattore di incertezza, nonché di tensione sui mercati finanziari internazionali, è rappresentato dall’introduzione di nuovi dazi da parte dell’amministrazione Trump: l’annuncio, giunto agli inizi di aprile, ha portato ad un calo delle aspettative di crescita dell’economia mondiale per il 2025.

Nonostante una riduzione delle tensioni nelle settimane successive, i rischi per la stabilità finanziaria sono nel complesso aumentati. Per quanto riguarda le famiglie italiane la loro situazione finanziaria rimane solida con rischi contenuti, pur permanendo una possibile incidenza negativa a causa della debolezza della congiuntura e dell’elevata incertezza sull’andamento dell’economia a causa delle tensioni internazionali. Le famiglie hanno ampliato gli investimenti negli strumenti del risparmio gestito, soprattutto nella componente dei fondi comuni, e anche i depositi sono tornati a crescere.

Al contrario si è assistito ad un rallentamento dei titoli di debito, seppur con differenze al suo interno: da una parte si è visto un aumento di nuovi investimenti in titoli emessi dal settore privato italiano e da emittenti esteri, al contrario di quanto accaduto con i titoli di stato italiani. Rallentano anche i certificates: a fine 2024 ne circolavano circa 85 miliardi dei quali due terzi erano detenuti dalle famiglie italiane.

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Essi rimangono tra i titoli di debito più rappresentati tra gli investimenti delle famiglie: l’Italia è infatti il paese europeo assieme alla Germania dove tali strumenti sono più diffusi. Minore è invece la loro diffusione in altri paesi dell’area euro. Infine nel quarto trimestre dell’anno il rapporto tra debito complessivo delle famiglie e il reddito disponibile è stato pari al 56,1%, circa 30 punti percentuali in meno rispetto alla media dell’area euro.

Sempre a fine 2024, la quota dei mutui a tasso fisso sul totale delle consistenze in essere ha raggiunto il 72,3%. Sul fronte delle imprese, la prima conseguenza del panorama descritto è stato un calo della redditività: nel 2024 il margine operativo lordo si è ridotto del 5,1% (a fronte di una crescita dell’8,3% nel 2023), con una contrazione della redditività rilevante nel settore dell’industria. Contrazione rilevata anche nei prestiti bancari alle imprese, quale riflesso della debolezza della domanda di credito e di politiche di offerta caute: -2,4% in dodici mesi con termine a febbraio.

Questo calo ha interessato le aziende maggiormente rischiose e soprattutto le piccole e micro. Un discorso differente riguarda i finanziamenti alle imprese che operano nei settori più esposti ad eventuali effetti di un aumento dei dazi da parte degli Stati Uniti.

Nonostante l’esposizione delle banche italiane sia relativamente maggiore rispetto alla media dell’area euro, in realtà essa rappresenta una quota contenuta del totale dei prestiti alle imprese: oltre il 70% del credito è infatti destinata a settori di cui si stima un calo di ricavi inferiore all’1%, mentre la quota è più limitata in aree con cali superiori al 3%. Malgrado segnali di peggioramento della qualità dei prestiti alle imprese, le condizioni del sistema bancario italiano rimangono buone, con livelli molto elevati di redditività e di patrimonializzazione e un’equilibrata situazione di liquidità.

Inoltre dopo una prima fase di turbolenze in seguito all’annuncio dei dazi di Washington il rapporto medio tra valore di mercato e contabile, seppur in diminuzione, si è attestato su livelli superiori a quelli dei principali intermediari dell’area euro. Sostanzialmente stabile la qualità degli attivi bancari nella seconda metà del 2024, con un tasso di deterioramento nel quarto trimestre pari all’1,4%.

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Secondo le proiezioni della Banca d’Italia, nel 2025 il tasso di deterioramento dei prestiti alle imprese si attesterebbe in media attorno al 2,4% per poi passare al 2,5% nel 2026 a causa della ridotta redditività delle imprese e dal contesto macroeconomico. Invariato allo 0,9% il tasso di deterioramento dei prestiti per le famiglie.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

Economia

Guerra in Medio Oriente, CGIA “Per il momento nessun aumento del prezzo dei carburanti”

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VENEZIA (ITALPRESS) – A poco più di una settimana dallo scoppio della guerra tra Israele e Iran, in Italia non abbiamo ancora registrato alcun significativo aumento del prezzo alla pompa dei carburanti. Anzi, le prime indicazioni segnalano un leggero ribasso delle quotazioni di gran parte dei prodotti petroliferi. Sia chiaro: è ancora presto per fare un primo bilancio, tuttavia la situazione odierna è molto diversa da quella verificatasi nel febbraio del 2022, quando la Russia invase l’Ucraina. Allora, dopo 15 giorni dall’inizio delle ostilità, il prezzo della benzina salì del 16,9%, quello del diesel addirittura del 23,8%.

Se, in termini monetari, a inizio marzo di tre anni fa il costo della “verde” superò i 2 euro al litro, per il gasolio il prezzo massimo lambì questa soglia. Solo successivamente, grazie al taglio delle accise introdotto dal Governo Draghi, i prezzi alla pompa sino alla fine del 2022 scesero ai livelli registrati al termine dell’anno precedente. In questi giorni, quando ci rechiamo nell’area di servizio a fare il pieno al nostro veicolo (auto, furgone aziendale, mezzo pesante, etc.), in modalità self la benzina la paghiamo attorno a 1,7 euro al litro, mentre il gasolio intorno a 1,6. E’ comunque utile sottolineare che l’Iran non ha la stessa capacità produttiva della Russia. Secondo i dati riferiti al 2024, su quasi 103 milioni di barili di petrolio estratti nel mondo ogni giorno, la Repubblica Islamica contribuisce per “soli” 3,8 milioni, mentre Mosca per 11,2.

Certo, se la situazione dovesse precipitare, con un allargamento del teatro di guerra e/o una chiusura dello Stretto di Hormuz – dove, ricordiamo, transita il 30% circa del petrolio mondiale e quasi il 20% del gas – quasi sicuramente assisteremmo ad uno choc petrolifero spaventoso ad una impennata dei prezzi su scala globale di tutte le materie prime. Dopo aver messo a punto queste riflessioni, l’Ufficio studi della CGIA tiene a precisare che di fronte all’orribile tragedia della guerra – che provoca morti, feriti, distruzione e miseria – parlare di effetti economici in capo a Paesi, come il nostro, che vivono a 3.500 chilometri dal conflitto, rischia di essere cinico e irrispettoso, in particolare nei confronti delle vittime di questo dramma.

Se, come abbiamo visto più sopra, almeno per il momento non sono previste tensioni sul fronte dei prezzi dei carburanti, la stessa cosa non possiamo ipotizzarla per l’energia elettrica e il gas. Ancorchè gli effetti sulle bollette delle imprese non siano riconducibili alla guerra in Medio Oriente, l’Ufficio studi della CGIA ha stimato in 13,7 miliardi in più (pari al +19,2%) il costo che le imprese italiane dovranno sostenere quest’anno rispetto al 2024. Di cui 9,7 per le bollette della luce e 4 per quelle del gas. L’Ufficio studi della CGIA è giunto a questi risultati ipotizzando che per l’anno 2024 e per il 2025 i consumi in capo alle aziende siano gli stessi di quelli registrati nel 2023.

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Per quanto concerne i costi, invece, quelli del 2025 sono stati calcolati considerando un prezzo medio dell’energia elettrica di 150 euro per MWh e di 50 per il gas, rispettando la proporzione di 3 a 1 tra i due prezzi così come verificatosi mediamente negli anni 2023 e 2024; dal momento che i prezzi attuali di energia elettrica e gas viaggiano su una media semestrale (da gennaio 2025 ai primi 15 giorni di giugno) di 119 euro per MWh per i primi e di 43 per MWh per i secondi, l’ipotesi media annua di 150 euro al MWh e di 50 MWh sarebbe rispettata con prezzi medi dell’ordine dei 180 MWh per l’energia elettrica e di 60 MWh per il gas nell’intero secondo semestre del 2025: si tratterebbe quindi di una ipotesi di massima come indicato in precedenza.

Si fa presente che l’aumento dei costi energetici per le imprese risulterà meno che proporzionale rispetto alla variazione dei prezzi della borsa energetica, in quanto l’aumento del prezzo della materia prima non impatta su tutto il costo complessivo della bolletta (che comprende anche costi di commercializzazione, trasmissione, oneri, tasse, margini ecc.). Pertanto, rispetto ad un’ipotesi di aumento del prezzo della materia prima del 38% (stimato per il 2025 rispetto al 2024), le rispettive crescite dei costi per le imprese risulteranno inferiori (+18% per l’energia elettrica e +25% per il gas).

A livello regionale, visto che la maggioranza delle attività produttive e commerciali sono ubicate al Nord, i rincari relativi al 2025 di luce e gas interesseranno, in particolare, le aree che presentano i consumi maggiori: vale a dire la Lombardia con un aggravio di 3,2 miliardi di euro, l’Emilia Romagna con +1,6 miliardi, il Veneto con +1,5 e il Piemonte con +1,2. Sull’incremento di costo previsto per quest’anno che, ricordiamo, a livello nazionale dovrebbe essere pari a 13,7 miliardi, 8,8 (pari al 64 per cento del totale), saranno in capo alle aziende settentrionali. Le aree regionali che, invece, saranno meno interessate dagli aumenti sono, ovviamente, quelle più piccole; come la Basilicata che dovrebbe registrare una variazione pari a +118 milioni, il Molise con +64 e la Valle d’Aosta con +44.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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Economia

Unicredit, Orcel “Avremo un grande futuro anche senza Bpm”

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MILANO (ITALPRESS) – “Abbiamo fatto e continuiamo a fare di tutto, ma se non riusciremo a risolvere, come probabile, ci ritireremo. Il nostro ricorso al Tar è un fatto di tutela giuridica, per il nostro Cda e la nostra società”. Lo dice in una intervista a “La Repubblica” l’ad di Unicredit Andrea Orcel parlando dell’offerta fatta per l’acquisizione di Banco Bpm che poi alla domanda su cosa succederà se l’istituto di piazza Gae Aulenti dovesse ritirarsi, risponde: “Che resterà Credit Agricole come azionista di riferimento col 20%, o forse di più. E Banco Bpm dovrà dimostrare le promesse che ha fatto e remunerare i suoi azionisti come sarebbero stati remunerati nel caso in cui ci sarebbe stata l’operazione. Per quanto ci riguarda continueremo a eseguire a pieno il nostro piano base, che ad oggi è considerato uno dei migliori del settore per creazione di valore per i nostri azionisti, continuando a monitorare la situazione in Italia e in altri Paesi. Come ho detto, in M&A è facile dire di ‘sì’ anche quando si distrugge valore per portare a casa l’operazione. L’ho visto fare molte volte nella mia vita professionale. Perché quello che è giusto e difficile, è mantenere disciplina e fare l’operazione solo se crea valore”. 

-Foto IPA Agency-
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Economia

Unicredit prosegue l’acquisizione di Banco Bpm dopo l’ok dall’Ue

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BRUXELLES (BELGIO) (ITALPRESS) – La Commissione europea ha approvato, ai sensi del Regolamento UE sulle concentrazioni, il progetto di acquisizione di Banco Bpm da parte di UniCredit.

L’approvazione odierna della fusione da parte della Commissione è subordinata al pieno rispetto degli impegni assunti da UniCredit per rispondere alle preoccupazioni della Commissione relative al livello di concorrenza nel settore bancario italiano. In particolare, UniCredit si è impegnata a cedere 209 filiali fisiche situate in aree locali problematiche in tutta Italia.

Tali impegni rispondono pienamente alle preoccupazioni in materia di concorrenza individuate dalla Commissione, eliminando la sovrapposizione orizzontale tra le attività delle società in tali settori e garantendo il mantenimento della concorrenza.

A seguito del riscontro positivo ricevuto durante il test di mercato, la Commissione ha concluso che l’operazione, come modificata dagli impegni, non solleverà più preoccupazioni in termini di concorrenza nei mercati dei depositi e dei prestiti, sia per i consumatori al dettaglio che per il settore bancario delle pmi.

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Questo perché, a seguito della cessione, le quote di mercato combinate dell’entità risultante dalla fusione nelle aree locali interessate saranno moderate. La decisione è subordinata al pieno rispetto degli impegni. Un amministratore fiduciario indipendente ne monitorerà l’attuazione, sotto la supervisione della Commissione. Parallelamente, la Commissione ha respinto la richiesta dell’autorità garante della concorrenza italiana di rinviare la fusione alla sua attenzione ai sensi della normativa italiana sulla concorrenza.

UniCredit comunica di aver ricevuto dalla Direzione generale della concorrenza l’autorizzazione all’operazione di acquisizione di Banco Bpm. L’autorizzazione è subordinata all’attuazione di impegni volti a risolvere le tematiche concorrenziali connesse all’operazione.

A tal fine è prevista la cessione a operatori qualificati di 209 filiali di Banco Bpm. UniCredit sottolinea inoltre che la sospensione del periodo di adesione dell’offerta per trenta giorni, disposta dalla Consob in data 21 maggio 2025 avrà termine in data 21 giugno e, pertanto, fatto salvo ogni diritto di UniCredit, il periodo di adesione riprenderà a decorrere il prossimo 23 giugno 2025.

Successivamente, la documentazione di offerta sarà aggiornata mediante la pubblicazione, previa approvazione della Consob, di un supplemento sia al prospetto sia al documento di offerta, con la conseguente possibilità di recesso dall’offerta per coloro che vi avessero aderito nei termini di legge.

– Foto IPA Agency –

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