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Economia

Dolore di dollari: Bini Smaghi e la scossa in arrivo dagli Usa di Trump

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di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Debito in traiettoria “insostenibile”, dollaro più debole, inflazione che rischia di riaccendersi proprio mentre la politica spinge per tagliare i tassi. È l‘istantanea – tutt’altro che rassicurante – che Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale, ha offerto in una conversazione al GEI con Mario Calvo Platero, leggendo i fondamentali dell’economia statunitense sotto l’amministrazione Trump.

Il punto di partenza è fiscale. Citando le nuove proiezioni del Fondo Monetario, Bini Smaghi ha ricordato che il rapporto debito/Pil degli Stati Uniti – dato al 121-122% nel 2024 – è ora proiettato verso il 140% a fine decennio. La ragione è duplice: spesa pubblica in crescita per invecchiamento e welfare, e imposte che non aumentano per costo politico. “Siamo su una traiettoria chiaramente insostenibile – ha avvertito – e questo è un problema non solo per gli USA ma per il mondo, perché al centro del sistema finanziario c’è la credibilità del dollaro e del Treasury come ancora di liquidità globale”.

Sul versante monetario, l’ex banchiere centrale ha sottolineato un bivio: “La Federal Reserve è sotto pressione politica e, tra pochi mesi, i membri nominati da Trump potrebbero fare maggioranza nel Board”. Da qui il rischio di spinte verso tagli dei tassi incompatibili con i dati: in un’economia “in piena occupazione”, con disoccupazione bassissima e un deficit strutturale che il FMI vede “intorno al 7% nei prossimi anni”, il pericolo è che l’inflazione si assesti di colpo “al 3-3,5%”. Se accadesse, “i mercati prezzerebbero meno tagli, salirebbe l’intera curva dei rendimenti e verrebbero rimesse in discussione le valutazioni azionarie costruite sull’ipotesi di tassi in calo”.

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Capitolo cambio. Bini Smaghi non legge l’euro/dollaro attuale come fuori scala (“negli ultimi dieci anni oscillazioni tra 1,05-1,25 sono state frequenti”), ma mette in guardia dalla combinazione pericolosa di “dollaro debole verso molti e euro molto forte in termini effettivi”, complice anche la scelta della BCE di accelerare il quantitative tightening, mentre Fed e Bank of England l’hanno rallentato per non spingere troppo in alto i rendimenti a lunga.

Risultato: l’Europa paga “il prezzo di una moneta più credibile proprio quando Francia e Germania rallentano”, con effetti sulla competitività delle esportazioni. Guardando allo stock di debito, Bini Smaghi ha proposto un confronto storico: negli ultimi 25 anni il debito USA è passato da circa 50% del Pil a oltre 120%, “più che raddoppiato”, mentre nell’area euro dal 60% all’80%.

Eppure gli USA hanno beneficiato di crescita più alta e tassi più bassi. “Il problema – ha spiegato – è un disavanzo medio vicino al 6% annuo, il doppio di quello europeo: per ridurlo o si taglia la spesa o si alzano le tasse, opzioni politicamente indigeste”. Sullo scenario esterno, i dazi (fino a oltre il 100% su alcuni prodotti, come la pasta) e la ri-politicizzazione del commercio producono – secondo Bini Smaghi – effetti meno immediati del previsto su prezzi e crescita, “compensati da altri fattori” (borsa tonica, condizioni finanziarie ancora vivibili). Ma il terremoto istituzionale resta: “Se si erodesse la fiducia nell’ancora del sistema – il dollaro – l’onda d’urto arriverebbe anche sulle economie europee”.

Tra i rischi settoriali, Bini Smaghi ha indicato una possibile bolla negli investimenti in AI, per l’enorme fabbisogno di capex ed energia dei data center, e il potenziale stress per i settori tradizionali più sensibili ai tassi (credito al consumo e filiere correlate). Quanto alle banche, i conti USA del terzo trimestre sono “molto buoni” grazie a trading e a un’M&A che l’AI potrebbe alimentare; in Europa “arriverà più tardi”. Ma un rallentamento con tassi alti può tradursi in sofferenze. Sulla vigilanza ha notato come il sistema sia “più capitalizzato e meglio presidiato” rispetto al 2008-09. (Su alcuni profili bancari, Bini Smaghi ha preferito rimanere off the record). Nel quadro geopolitico, Bini Smaghi vede una rottura di fiducia europea verso la dipendenza tecnologica dagli USA (e dalla Cina): “Cloud, pagamenti, digitale: si cercano alternative. È lento, ma è un obiettivo condiviso”.

Intanto, sul fronte dei mercati, la sua “brutta notizia” è nitida: se nei prossimi mesi l’inflazione americana tenesse sopra il 3% e la Fed non potesse tagliare, l’aggiustamento dei prezzi degli asset “potrebbe essere brusco” e “lo sentiremmo tutti”.

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– Foto IPA Agency –

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Economia

Mps-Mediobanca, Giorgetti “Nessuna ingerenza o pressione da parte del Mef”

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ROMA (ITALPRESS) – “Tutte le doverose interlocuzioni che ho avuto con gli esponenti del sistema istituzionale e creditizio sono state sempre orientate a rappresentare l’opportunità di realizzare assetti idonei a garantire un futuro stabile all’istituto, senza alcun tipo di ingerenze o pressione nei confronti degli attori o dei titolari dei diritti di voto”. Così il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso dell’informativa urgente sulla vicenda Mps-Mediobanca in Aula alla Camera.

“L’oculato lavoro del management ha portato a un progressivo rafforzamento e alla valorizzazione della banca, il cui valore è passato da un minimo di 1,95 operazione del 2022 ai 5,52 euro operazione nel novembre 2024, fino a superare a dicembre 2025 gli 8 euro”, ha aggiunto.

“L’ops su Mediobanca è stata un’operazione autonomamente deliberata e sulla quale, come azionista, abbiamo preso atto delle scelte della società e del loro razionale”, ha ribadito Giorgetti, che ha poi sottolineato come “nella fase di uscita del controllo della banca, il Ministero ha ottemperato agli impegni assunti nei confronti della Commissione Europea e, in tale ottica, le stesse dimensioni dei cinque componenti del CdA tratti della lista MEF rappresentano un comportamento coerente con i suddetti obblighi di perdita del controllo”.

“Per quanto riguarda il futuro della quota residua del MEF pari al 4,86% di un controvalore ovviamente variabile, ma ben superiore al miliardo, ogni determinazione dovrà essere adottata non già in una logica di mera cassa, ma in un’ottica strategica. Resta inteso che il MEF, in coerenza con gli impegni assunti a livello europeo, non presenterà comunque alcuna lista in occasione del rinnovo del consiglio di amministrazione”, ha concluso Giorgetti.

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– foto IPA Agency –

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La Bce lascia i tassi di interesse invariati, obiettivo stabilizzazione inflazione al 2%

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FRANCOFORTE (GERMANIA) (ITALPRESS) – Il Consiglio direttivo della Bce ha deciso di mantenere invariati i tre tassi d’interesse chiave. La sua valutazione aggiornata riconferma che l’inflazione dovrebbe stabilizzarsi all’obiettivo del 2% nel medio termine. I tassi di interesse sui depositi, sulle operazioni di rifinanziamento principali e sulle operazioni di prestito marginale rimarranno invariati rispettivamente al 2,00%, al 2,15% e al 2,40%. Le nuove proiezioni degli esperti dell’Eurosistema indicano un’inflazione complessiva media del 2,1% nel 2025, dell’1,9% nel 2026, dell’1,8% nel 2027 e del 2,0% nel 2028. Per l’inflazione al netto di energia e alimentari, gli esperti prevedono una media del 2,4% nel 2025, del 2,2% nel 2026, dell’1,9% nel 2027 e del 2,0% nel 2028. L’inflazione è stata rivista al rialzo per il 2026, principalmente perché gli esperti ora prevedono un calo più lento dell’inflazione dei servizi.

Si prevede una crescita economica più forte rispetto alle proiezioni di settembre, trainata soprattutto dalla domanda interna. La crescita è stata rivista al rialzo all’1,4% nel 2025, all’1,2% nel 2026 e all’1,4% nel 2027, e si prevede che si manterrà all’1,4% nel 2028. Il Consiglio direttivo è determinato a garantire che l’inflazione si stabilizzi al suo obiettivo del 2% nel medio termine. Adotterà un approccio basato sui dati e sulle riunioni per determinare l’orientamento appropriato della politica monetaria. In particolare, le decisioni del Consiglio direttivo sui tassi di interesse si baseranno sulla sua valutazione delle prospettive di inflazione e dei rischi che la circondano, alla luce dei dati economici e finanziari in arrivo, nonché delle dinamiche dell’inflazione di fondo e della forza di trasmissione della politica monetaria. Il Consiglio direttivo non si impegna a priori a seguire un percorso specifico per i tassi.

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Bankitalia, nel 2024 chiuse posizioni in sofferenza per circa 6 miliardi

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ROMA (ITALPRESS) – Nel 2024 sono state chiuse, ovvero eliminate dai bilanci, posizioni a sofferenza per circa 6 miliardi. Il dato, pari a circa 1,4 volte il valore dei nuovi ingressi, e’ inferiore al 2023 in termini sia assoluti (9 miliardi), sia di incidenza percentuale sulle sofferenze in essere alla fine dell’anno precedente (37% contro il 44%). Così la Banca d’Italia nella Nota di Stabilità finanziaria e vigilanza. La riduzione rispetto al 2023 è stata determinata principalmente dalle minori cessioni (passate da 5 a 3 miliardi) ed è riconducibile al progressivo ridimensionamento delle consistenze, che ha ridotto le esigenze di cessioni massive. Le strategie di gestione dei crediti deteriorati sono ora basate su un contributo più equilibrato delle diverse leve gestionali: l’ammontare delle posizioni chiuse internamente e’ risultato equivalente a quello delle cessioni sul mercato (3 miliardi).

I dati aggiornati sui tempi di smaltimento delle sofferenze confermano i progressi conseguiti negli ultimi anni, attribuibili sia alla riduzione delle consistenze che ai miglioramenti degli intermediari nella gestione di questi crediti: la quota delle posizioni chiuse entro tre anni dalla classificazione a sofferenza e’ pari all’87% (88% nel 2a023). Le cessioni di inadempienze probabili si sono mantenute stabili, pari a circa 4 miliardi.

Rispetto al 2023 il tasso di recupero medio delle sofferenze chiuse è aumentato di cinque punti percentuali, al 41%, di cui tre riconducibili alle chiusure di posizioni assistite da garanzie pubbliche e caratterizzate da tassi di recupero particolarmente elevati. Lo rileva la Banca d’Italia nella Nota di Stabilità finanziaria e vigilanza. Alla crescita hanno contribuito sia i recuperi sulle posizioni chiuse in via ordinaria (dal 45% al 47%), sia quelli sulle posizioni cedute (dal 30% al 36%), la cui incidenza sul totale delle posizioni chiuse e’ scesa dal 60% al 50%. Il tasso medio di recupero delle sofferenze assistite da garanzie reali è aumentato di tre punti percentuali, al 44%, sostenuto dall’incremento osservato sulle posizioni cedute a terzi (da 35% a 41%). Per le posizioni non assistite da garanzie reali, il tasso di recupero è aumentato di circa nove punti percentuali (da 28% al 37%), di cui sei attribuibili alle chiusure di posizioni assistite da garanzia pubblica.

Il prezzo delle sofferenze cedute nel 2024 è stato pari in media al 24% dell’esposizione lorda di bilancio al momento della cessione, in aumento di due punti percentuali rispetto al 2023. Il prezzo è rimasto stabile per le posizioni assistite da garanzie reali (34%), mentre è cresciuto sensibilmente per le altre (da 13% a 18%), che hanno beneficiato del maggior prezzo riconosciuto sulle posizioni con garanzia pubblica. Il prezzo di cessione dei crediti deteriorati diversi dalle sofferenze è stato in media pari al 51%, superiore di circa 5 punti percentuali a quello del 2023; l’incremento ha interessato sia la componente assistita da garanzia reale, sia quella non assistita da garanzia reale.

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