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Economia

Fs, firmato contratto nazionale e aziendale. Aumento medio 230 euro

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ROMA (ITALPRESS) – E’ stata sottoscritta oggi dal Gruppo FS Italiane e delle Organizzazioni Sindacali Filt-Cgil, Fit-Cisl, UilTrasporti, Ugl Ferrovieri, Fast Consal e Orsa Ferrovie l’ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto Aziendale del Gruppo FS Italiane, a seguito dell’intesa sul CCNL della Mobilità – Area contrattuale Attività Ferroviarie.
Vengono riconosciuti incrementi salariali per un importo mensile medio a regime di 230 euro sui minimi stipendiali e, a copertura del periodo 1° gennaio 2024-31 maggio 2025, un importo medio una tantum pari a 1.000 euro.
Tra gli elementi qualificanti del rinnovo: il rafforzamento del sistema di welfare aziendale, l’adeguamento dei regimi di orario e dell’organizzazione del lavoro, l’istituzione di una Commissione paritetica per analizzare l’impatto delle nuove professionalità legate all’innovazione e all’intelligenza artificiale e l’introduzione di strumenti come l’apprendistato duale per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
“Con la firma del rinnovo del contratto aziendale del Gruppo FS confermiamo il nostro impegno a favore delle persone, promuovendo il miglioramento della conciliazione vita-lavoro, con l’obiettivo di valorizzare le professionalità del Gruppo”, ha dichiarato l’Amministratore Delegato e Direttore Generale del Gruppo FS Stefano Antonio Donnarumma. “Questo rinnovo – ha proseguito l’AD – non solo risponde alle esigenze produttive aziendali, ma punta allo sviluppo delle competenze attraverso la digitalizzazione e l’innovazione, risorse fondamentali per l’evoluzione dei mestieri attuali e futuri. Desidero esprimere un sincero ringraziamento alle organizzazioni sindacali per il lavoro condiviso, per il loro impegno e per lo sforzo compartecipativo che ha reso possibile il raggiungimento di questo risultato. L’accordo – ha concluso Donnarumma – è un passo fondamentale per sostenere la trasformazione e l’evoluzione del settore, con l’obiettivo di dare impulso e valore al Sistema Paese”.
“L’intesa rappresenta una risposta concreta e responsabile alle trasformazioni in atto nel settore ferroviario, strategico per la mobilità sostenibile del Paese. Il nuovo impianto contrattuale valorizza il lavoro, promuove l’inclusione e rafforza la sicurezza, tenendo conto dei profondi cambiamenti legati all’innovazione tecnologica, alla digitalizzazione e all’evoluzione del mercato, con una particolare attenzione al bilanciamento tra vita e lavoro – si legge in una nota del gruppo Fs -. L’accordo conferma anche il ruolo centrale della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, prevedendo maggiori tutele e azioni concrete per diffondere una cultura condivisa della prevenzione. E’ stato inoltre aggiornato il sistema classificatorio del personale, coerentemente con l’evoluzione dei processi aziendali e sono state definite azioni in un’ottica di ricambio generazionale. Le parti hanno inoltre condiviso un importante aggiornamento della normativa sull’orario e sull’organizzazione del lavoro che tiene conto delle esigenze di conciliazione tra vita privata e vita professionale, contribuendo ad assicurare anche una maggiore sostenibilità dei business passeggeri e merci. Il nuovo Contratto Aziendale di Gruppo, affiancato dal CCNL, costituisce un sistema di regole condivise che rafforza la capacità delle aziende del Gruppo FS di affrontare con efficacia le sfide del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e di cogliere nuove opportunità nei mercati nazionali e internazionali. La valorizzazione delle persone e delle competenze si conferma leva strategica per la crescita sostenibile e la competitività dell’intero settore e del Gruppo”.
Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ferrovieri, Orsa Ferrovie e Fast Confsal sottolineano che “i contratti rinnovati, nel rispetto dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, scadranno il 31 dicembre 2026” ed evidenziano che “dopo 18 mesi di trattative sono stati raggiunti gli obiettivi fissati dalla piattaforma presentata in luglio 2023, con incrementi salariali adeguati, più tutele, più diritti e importanti modifiche normative, volte al miglioramento concreto delle condizioni di lavoro”.
“Il nuovo contratto – spiegano le organizzazioni sindacali – riguarda oltre 90 mila lavoratori e lavoratrici, inclusi quelli impiegati nei servizi appaltati come ristorazione, pulizie, assistenza personale con ridotta mobilità e accompagnamento notturno, prevede dal punto di vista retributivo un aumento medio di 230 euro mensili (su livello C1), in tre tranche tra giugno 2025 e giugno 2026. Inoltre una una tantum di 1000 euro per coprire il periodo di vacanza contrattuale erogata ad agosto 2025 e la rivalutazione di indennità fondamentali come turni, domenicali, trasferte e rimborsi pasto. Per i lavoratori degli appalti ferroviari c’è stato l’introduzione di buoni pasto da 7 euro a partire dal 1° gennaio 2026. Nel CCNL ci sono anche importanti novità sulla sicurezza sul lavoro a partire dall’introduzione della figura del Rls di sito e dalla Stop Work Authority, che consente ai lavoratori di interrompere l’attività in caso di potenziale pericolo evitando sanzioni disciplinari”.
“Contestualmente – proseguono Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl , Orsa Ferrovie e Fast – è stato rinnovato anche il contratto aziendale del Gruppo FS, con misure che potenziano il welfare, la previdenza e la sanità. E’ stato sottoscritto un accordo specifico per il recupero del premio di risultato relativo al 2024, stabilito in 950 euro e fissati anche gli importi per i premi dei due anni successivi pari a 1100 euro per il 2025 con erogazione nel 2026 e 1200 euro per il 2026 con erogazione nel 2027. Dal punto di vista retributivo sono state rivalutate molte indennità. Concordato più equilibrio e qualità della vita in tema di riposi, orari e condizioni di lavoro e più tutele per le persone con l’introduzione del codice di condotta contro le molestie sessuali del Gruppo FS e nuovi strumenti a favore della genitorialità, dell’assistenza familiare e dei permessi in caso di lutto”.
“Le organizzazioni sindacali scioglieranno la riserva entro il 20 giugno” concludono infine Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ferrovieri, Orsa Ferrovie e Fast Confsal.

– Foto ufficio stampa gruppo Fs Italiane –

(ITALPRESS).

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Economia

Educazione finanziaria, all’Italia l’European Money Quiz 2025

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BRUXELLES (BELGIO) (ITALPRESS) – Il team italiano, composto da Cuth Razvan Martini e Alessio Prendi, si è aggiudicato la vittoria dell’European Money Quiz 2025, la più grande competizione europea di educazione finanziaria per studenti tra i 13 e i 15 anni, promossa dalla Federazione Bancaria Europea (EBF) e, in Italia da FEduF (ABI). Alla finale, svoltasi a Bruxelles, hanno partecipato i vincitori nazionali provenienti da 30 Paesi. Il secondo posto è andato al team della Nord Macedonia, mentre il terzo è stato conquistato dalla Svezia.

“Siamo orgogliosi di celebrare l’eccellente performance degli studenti italiani che hanno rappresentato il nostro Paese all’European Money Quiz 2025 – ha dichiarato Giovanna Boggio Robutti, Direttore Generale di FEduF, la Fondazione creata da ABI che promuove l’educazione finanziaria e ha curato l’organizzazione della competizione a livello nazionale – lo European Money Quiz è la principale competizione europea dedicata all’educazione finanziaria dei giovani tra i 13 e i 15 anni, promossa dalla Federazione Bancaria Europea (EBF). La squadra italiana ha dimostrato una preparazione eccellente e competenze solide su temi cruciali come il risparmio, la pianificazione finanziaria, la cybersicurezza e gli investimenti. Il risultato ottenuto è motivo di grande soddisfazione e conferma quanto sia fondamentale investire nella formazione economico-finanziaria delle nuove generazioni, affinché possano affrontare con consapevolezza e responsabilità le sfide del futuro. Un ringraziamento speciale va anche agli insegnanti che ci affiancano con passione e dedizione. In particolare, la Professoressa Raffaella Perfumo rappresenta un esempio virtuoso: il suo impegno costante nella promozione dell’educazione finanziaria è un punto di riferimento essenziale per la diffusione di competenze economiche tra i giovani”.

I Paesi partecipanti sono: Albania, Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia, Portogallo, Repubblica di Macedonia del Nord, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia e Ucraina.

L’edizione 2025 ha coinvolto 73.054 studenti di 2.877 scuole in tutta Europa. Sessanta finalisti si sono ritrovati a Bruxelles per una due giorni ricca di attività: la finale del quiz, una visita al Wikifin Lab dell’Autorità belga per i servizi e i mercati finanziari, una cerimonia di apertura del mercato presso la Borsa Euronext e un tour al Parlamentarium, il centro visitatori del Parlamento Europeo. Il quiz ha testato le conoscenze degli studenti su temi finanziari cruciali per la loro età: pianificazione a lungo termine, risparmio, criptovalute, cybersicurezza e gestione responsabile del credito.

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“Siamo estremamente orgogliosi di ospitare la nona edizione dell’European Money Quiz – ha commentato Wim Mijs, CEO della Federazione Bancaria Europeauna chiara dimostrazione dell’impegno del settore bancario, insieme alle scuole partecipanti, nel rafforzare le competenze finanziarie. La competizione continua a crescere, con Bulgaria e Cipro che si uniscono per la prima volta quest’anno. L’entusiasmo e la preparazione dei partecipanti sono stati davvero impressionanti. L’educazione finanziaria è una chiave per un futuro sicuro: è fondamentale che i giovani europei sviluppino fin da piccoli le giuste competenze e attitudini”.

L’iniziativa si inserisce in un contesto europeo sempre più attento all’educazione finanziaria. La Commissione Europea ha annunciato una Strategia Europea per l’Educazione Finanziaria, attesa entro la fine dell’anno, con l’obiettivo di coordinare e rafforzare le numerose iniziative già esistenti a livello nazionale, nel settore privato e tra le ONG. L’EBF, da sempre attiva in questo ambito, è pronta a contribuire a questo importante progetto.

– Foto Ufficio stampa FEduF –

(ITALPRESS)

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Economia

Unioncamere, 120 mila aziende italiane esportano all’estero

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ROMA (ITALPRESS) – Sono 120.876 le aziende italiane che esportano all’estero. Ma ci sono almeno altre 17.000 imprese che potrebbero rapidamente aggiungersi a questa platea se adeguatamente supportate, perché pur possedendo tutti i requisiti per aprirsi ai mercati internazionali da sole non riescono farlo o lo fanno solo occasionalmente.

È quanto emerge dal Rapporto di Unioncamere sulle imprese potenziali esportatrici realizzato dal Centro Studi Tagliacarne sulla base degli ultimi dati ufficiali sulla struttura delle imprese che esportano. “L’export fornisce un contributo fondamentale alla crescita del Pil italiano. In 5 anni, l’export di beni delle nostre imprese è cresciuto del 30%, raggiungendo i 623,5 miliardi. Aquesto risultato vanno aggiunti anche gli oltre 141 miliardi di euro connessi alla vendita di servizi”, sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli.

Più nel dettaglio delle 17mila imprese potenziali esportatrici: 5.601 sono aspiranti tali ovvero aziende, soprattutto “micro”, che attualmente non esportano ma hanno tutte le “carte” in regola per farlo; 11.427 sono emergenti ovvero esportano solo in via occasionale ma avrebbero le potenzialità per consolidare la loro posizione all’estero. Sono solo 1.600 le aziende emergenti che esportano verso gli Stati Uniti, ma per ben due imprese su tre rappresenta l’unico mercato di sbocco oltre confine.

Nel complesso le imprese emergenti realizzano negli Usa il 15,7% delle loro esportazioni, per un totale di 87,4 milioni di euro, a fronte del 10,8% venduto negli States dal totale delle imprese esportatrici. E’ la Lombardia la regione che esprime il maggior numero di imprese potenziali esportatrici (4.259, il 25,0% del totale). Seguono Veneto (1.933, 11,4%) e Emilia-Romagna (1.501, 8,8%). Ma a livello provinciale il quadro cambia.

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Se Milano si conferma prima nella graduatoria, con 1.412 imprese potenziali esportatrici ovvero l’8,3% del totale, al secondo posto troviamo Roma (731, 4,3%) e Torino (720, 4,2%). Il 97,5% delle imprese aspiranti conta meno di 10 addetti, mentre la restante parte si divide tra piccole (2,4%) e medio-grandi imprese (0,1%). Ma nelle emergenti il peso delle imprese di dimensioni più grandi raggiunge il 3,6%. Opera nel settore manifatturiero il 46,8% delle imprese aspiranti, contro quasi il 40% delle emergenti.

Un quinto delle aspiranti si concentra in tre settori di attività: fabbricazione di prodotti in metallo (esclusi macchinari e attrezzature), industrie alimentari e industria del legno e dei prodotti in legno e sughero. Mentre più variegato appare il profilo delle emergenti: solo il 14,3% lavora nei primi tre comparti più rilevanti del manifatturiero e che sono gli stessi di quelli degli aspiranti ad eccezione del settore del legno sostituito da quello della riparazione, manutenzione e installazione di macchine ed apparecchiature.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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Economia

Indagine Cna, una piccola impresa su due vorrebbe assumere ma non ci riesce

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ROMA (ITALPRESS) – Una piccola impresa su due vorrebbe procedere a nuove assunzioni nel secondo semestre di quest’anno. Un’intenzione ostacolata, però, dalla difficoltà di reperire le figure professionali necessarie. Anche a causa di un mercato del lavoro che non favorisce l’incontro tra domanda e offerta. A rilevarlo un’indagine condotta dall’Area studi e ricerche della CNA tra un campione di oltre 2mila imprese artigiane, micro e piccole associate alla Confederazione, rappresentative della composizione dell’apparato produttivo nazionale.

A sorprendere prima di tutto è che il risultato dell’indagine targata CNA non sia molto diverso da quello di uno studio analogo redatto dalla Confederazione quattro anni orsono. Con la differenza che allora, appena usciti dalla prima emergenza Covid, l’economia italiana cresceva a un ritmo tale da sfiorare il 9% mentre quest’anno l’incremento del Prodotto interno lordo nazionale non dovrebbe raggiungere neanche l’1%.

Insomma, la richiesta di nuova forza lavoro nelle piccole imprese italiane sembra escludere l’incidenza dei fattori di natura congiunturale. Nonostante la crescita elevata dell’occupazione nell’ultimo biennio, arrivata al massimo storico di 24,3 milioni di posti a febbraio, l’indagine rileva come il potenziale lavorativo sia ancora elevato. Il 50,8% del campione di imprese coinvolte ritiene infatti di voler procedere a nuove assunzioni nella seconda metà del 2025. Di queste il 30,8% prevede di effettuare due assunzioni e il 7,8% tre o più. Esigenze, le ultime, che emergono soprattutto nel manifatturiero.

Ma quali sono i settori dov’è più avvertita l’esigenza di nuova forza lavoro da parte delle piccole imprese? A livello macro settoriale guidano questa graduatoria le costruzioni (con il 57,5% di imprese intenzionate ad assumere), seguono la manifattura (51,9%) e, sotto la media, il comparto dei servizi, con un sempre apprezzabile 45,6%. Se dalla fotografia macro si passa all’analisi dei singoli rami emerge nell’ambito delle costruzioni una domanda di lavoro robusta nell’edilizia (54,5%) e ancor più solida nell’installazione di impianti (59,2%) un po’ perché si va verso la stagione estiva un po’ perché, evidentemente, non cala la volontà di ristrutturare e ammodernare gli immobili in particolare per adeguarli a nuove esigenze ambientali e tecnologiche.

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Limitandosi alle singole specializzazioni lavorative, nell’ambito dell’edilizia sono gli installatori e manutentori di impianti (di climatizzazione, elettrico-elettronici, idrico-sanitari), i muratori, i capo cantiere le professionalità più ricercate. Passando all’analisi dei rami manifatturieri, prospettive incoraggianti riguardano la meccanica e il sistema moda, due pilastri del Made in Italy in salute nonostante l’insistente percussione dei tamburi di guerre commerciali. Nel dettaglio è il 56% delle piccole imprese meccaniche e il 52,8% delle analoghe attività della filiera moda ad assicurare la volontà di ingaggiare nuovi dipendenti.

Elettricisti; addetti alla produzione di macchine utensili e costruttori di carpenteria metallica, al taglio e alla confezione dei capi di abbigliamento; alla produzione di mobili in legno e al montaggio di arredi e infissi sono i profili più richiesti. Anche nel comparto dei servizi emergono rami dove si cercano lavoratori in maniera rimarchevole e profili professionali ambiti. Ristorazione, Trasporti e logistica, Autoriparazioni e carrozzerie sono ai vertici delle attività che prevedono assunzioni, con un gap verso l’alto rispetto alla media tra il 10 e il 20%.

Autisti, meccatronici, carrozzieri, cuochi e aiuto cuochi, camerieri, acconciatori e operatori estetici risultano a loro volta tra i profili professionali più ‘gettonati’. La volontà di ampliare gli organici da parte di imprese artigiane, micro e piccole potrebbe infrangersi contro lo scoglio della difficoltà di reperire sul mercato le figure professionali in possesso delle competenze di cui hanno bisogno. Una impresa su tre dichiara di non essere riuscita finora a trovare alcun candidato idoneo. Il resto del campione si divide tra chi assicura di non avere problemi a trovare i lavoratori necessari (11,4%) e chi ha ricevuto candidature ma ha trovato difficoltà nella selezione (55,4%).

In quest’ultimo gruppo solo il 7,7% delle imprese ha trovato candidati che hanno giudicato insufficiente l’offerta economica ricevuta mentre il 47,7% spiega di aver trovato candidati ma senza le necessarie competenze.

Può sorprendere che la modalità più utilizzata dalle imprese per reperire candidati rimanga il cosiddetto ‘passaparola’, preferito dal 42,1% delle imprese. Seguono le agenzie (21,5%) e gli annunci su canali più o meno specializzati (15,1%). Viceversa solo il 10,7% delle imprese privilegia il suggerimento di scuole, istituti di formazione, università. E addirittura uno striminzito 6,8% i canali ufficiali dedicati, quali i centri per l’impiego.

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Dati che generano giocoforza dubbi sull’efficienza tanto degli strumenti di orientamento quanto dei soggetti formativi pubblici. Le imprese intenzionate a realizzare nuove assunzioni vorrebbero privilegiare la stabilità dei rapporti di lavoro, come dimostra l’auspicio di firmare contratti a tempo indeterminato (34,6%) o con forme assimilabili quali l’apprendistato (21,5%) e il tirocinio formativo (9,8%). In conclusione, ci si potrebbe domandare perché in tempi di stasi economica, o di crescita ridotta, tante imprese pensino ad assumere e, perdipiù, a tempo in qualche modo indeterminato. L’Area studi e ricerche della CNA fa rientrare questo comportamento nel cosiddetto ‘Labour Hoarding’, letteralmente ‘fare scorta di lavoro’.

Si tratta di una strategia a lungo termine utilizzata dalle imprese (che non licenziano, o addirittura assumono, in un periodo di bassa crescita) per evitare i costi di ri-assunzione, e le difficoltà di reperimento dei profili professionali adatti, qualora dovesse riprendersi l’economia.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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