Seguici sui social

Economia

Unioncamere, 1 impresa su 2 supererà i livelli pre-Covid

Pubblicato

-

Dopo il rimbalzo del fatturato nel 2021 (+19%) e le prospettive di crescita anche per il 2022 (+6,3%), le medie imprese manifatturiere italiane affrontano le incertezze della congiuntura forti di una storia che le ha viste fare meglio del resto dell’economia proprio nei momenti più turbolenti. Secondo un indicatore di performance, dal 1996 hanno maturato rispetto al Pil un vantaggio del 34,1%, la maggior parte del quale sviluppato dal 2009. È quanto emerge dal XXI rapporto sulle medie imprese italiane promosso da Unioncamere, Area Studi Mediobanca e Centro Studi Tagliacarne. “Le medie imprese in Italia stanno dando ottimi risultati, si tratta di imprese che sono cresciute nel tempo, gran parte a gestione famigliare ma con un livello di managerialita’ enorme, sono soprattutto italiane nel senso che poche hanno localizzazioni all’estero”, ha detto Andrea Prete, presidente di Unioncamere nel corso della presentazione del rapporto.
“Sono molto attive, molto dinamiche, sono cresciute in tutti i settori, e anche nella tassazione sono quelle che pagano di più rispetto alle grandi imprese, 650 milioni pagati in più, che in 10 anni e mezzo significa 6 miliardi e mezzo. Nell’agroalimentare sono molto presenti, rappresentano quel tessuto produttivo su cui puntare, anche nel futuro per la doppia transizione, sia digitale sia sostenibile. Siamo ormai nell’impresa 5.0 dove al centro c’è l’uomo non più la macchina’, ha aggiunto. Nel confronto con le grandi imprese manifatturiere italiane, nello stesso periodo, le medie hanno registrato migliori performance sotto molti punti di vista: hanno ottenuto una crescita del fatturato più che doppia (+108,8% vs +64,4%), centrato un maggiore aumento della produttività (+53% vs +38,6%) e garantito una migliore remunerazione del lavoro (+62,4% vs +57%). Si tratta di successi ottenuti con un significativo ampliamento della base occupazionale (+39,8% vs -12,5%) che ne ha fatto un modello capitalistico veramente inclusivo e partecipativo, tanto da consentire alle medie imprese di affermarsi anche a livello internazionale.
La loro produttività è infatti superiore del 21,5% a quella delle omologhe tedesche e francesi, un risultato fuori dall’ordinario se si pensa che la nostra manifattura nella sua interezza accusa invece un ritardo del 17,9% rispetto agli stessi Paesi. Non è un caso che abbiano attratto l’attenzione degli stranieri: oggi ne avremmo circa 210 in più se queste non fossero passate nell’ultimo decennio sotto il controllo di azionisti esteri, un quarto dei quali proprio tedeschi e francesi. ‘Oltre 25 anni di performance migliori rispetto all’intera economia nazionale, confermate e anzi rafforzate nelle crisi dell’ultimo quindicennio, consentono alle nostre medie imprese manifatturiere di affrontare con fiducia scenari che restano incerti e sfidanti”, ha spiegato Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca. Un aspetto peculiare delle medie imprese riguarda il fatto che ricchezza e occupazione sono prodotte prevalentemente in Italia. L’88,2% non ha una sede produttiva all’estero e solo il 3% realizza in stabilimenti stranieri oltre il 50% dell’output. Il tema del re-shoring appare quindi di poca rilevanza per queste aziende che, invece, partecipano attivamente alle catene globali del valore: l’88,8% si avvale di fornitori stranieri, ottenendo in media il 25% delle proprie forniture. Inoltre, la quota di vendite destinata all’estero è pari al 43,2% del fatturato. Le performance realizzate dalle medie imprese sono tanto più lusinghiere se si considera che sono state raggiunte in un contesto non sempre favorevole. E’ il caso del fisco: il tax rate effettivo delle medie imprese è oggi attorno al 21,5% contro il 17,5% delle grandi, ma in passato lo spread è stato anche più ampio, oltre 8 punti nel 2011. Se nell’ultimo decennio le medie imprese avessero avuto la medesima pressione fiscale delle grandi avrebbero ottenuto maggiori risorse per 6,5 miliardi. Una cifra monstre che avrebbe significato una maggiore dotazione di mezzi propri pari al 6,7% oppure un maggiore volume d’investimenti nella misura del 10,6%. D’altra parte, nel confronto con i competitor stranieri, le nostre medie imprese si percepiscono svantaggiate proprio in termini di struttura dei costi (50,5%), di efficienza della Pubblica Amministrazione (30,2%) e di qualità della dotazione infrastrutturale del Paese (22%). Il 47,2% delle medie imprese ha risolto il passaggio generazionale mentre il 17,4% lo sta affrontando, ma non ha terminato il processo. Per il 26,2% il tema non è in agenda perché gli eredi sono troppo giovani, ma il restante 9,2% è in oggettiva difficoltà dovendo fronteggiare la mancanza di eredi, la loro eccessiva numerosità o i dissidi tra soci. In sintesi, per 1 impresa su 4 il passaggio o non è perfezionato o rappresenta un vero ostacolo. Un rilevante 32,5% delle medie imprese coglie nel passaggio generazionale l’occasione per inserire manager esterni. Procrastinare il tema, tuttavia, non rappresenta la soluzione, poiché il mancato ricambio tra generazioni rischia di penalizzare la crescita. Le medie imprese con problemi di passaggio generazionale investiranno nel triennio 2022-24 meno nella formazione manageriale per innovare i modelli di business (38% vs 50% nel caso di quelle senza problemi), meno sull’innovazione di processo e organizzativa (64% vs 71%) e nell’innovazione di prodotto e di marketing (47% vs 61%). Il 59% delle medie imprese punta sul Pnrr: il 40% si è già attivato sui progetti a supporto diretto dei sistemi imprenditoriali, mentre il 19% ha in programma di farlo. C’è però un altro 41% che non pensa di avvantaggiarsi delle opportunità previste nel Piano. Esistono fattori sia interni che esterni che spingono maggiormente ad attivarsi in tal senso. I primi riguardano il capitale umano: ben il 72% delle medie imprese che investe nella formazione manageriale per innovare i propri modelli di business si è già mosso sui progetti del Pnrr (o ha in programma di farlo), percentuale che scende al 46% per quelle che non investono nelle competenze manageriali.
I secondi riguardano la relazionalità con Istituzioni e Università, soprattutto quando sono coinvolti entrambi gli attori: il 74% delle medie imprese che ha relazioni sia con le Istituzioni che con le Università si è già attivato sui progetti del Pnrr (o ha in programma di farlo), contro poco più del 60% nei casi in cui i rapporti siano intrattenuti solo con Istituzioni o solo con Università e il 52% nel caso in cui l’impresa non collabori con nessuno dei due soggetti. Il 52% delle medie imprese che ha investito negli ultimi cinque anni nella duplice transizione digitale ed ecologica conta di superare nel 2022 i livelli produttivi pre-Covid. Una quota che scende al 35% nel caso di chi ha investito solo nel digitale e al 31% per le imprese che hanno puntato soltanto sul green, sino ad arrivare al 21% laddove non sia stato effettuato alcun investimento in questa direzione. Un elemento di competitività di cui le medie imprese sembrano consapevoli: più del 60% prevede, infatti, di investire nel triennio 2022-24 nelle tecnologie 4.0 e nel green, mentre appena il 15% stima di puntare soltanto sulla transizione digitale e un altro 13% solo sul green. Management e formazione giocano un ruolo chiave anche in tema di investimenti nella Duplice transizione dove le medie imprese con guida familiare denotano una minore propensione rispetto a quelle con manager esterni (60% vs 66%). Il gap, tuttavia, si annulla quando l’impresa investe nella formazione dei manager di famiglia per innovare i modelli di business. Avanzamento tecnologico, attenzione all’ambiente, ma anche la sostenibilità sociale premia le medie imprese: il 62% investe nel welfare aziendale, il 61% coinvolge i propri dipendenti nella attività di innovazione (nuovi processi, prodotti e modalità organizzative aziendali, ecc.), il 51% nella qualità delle relazioni umane e il 51% collabora con il settore della cultura per aumentare il benessere del territorio. Anche solo osservando il comportamento delle imprese che svolgono co-innovazione con i propri dipendenti, si scopre che quelle che favoriscono la loro partecipazione allo sviluppo di progetti innovativi dimostrano una maggiore capacità di recupero produttivo: il 48% conta di superare nel 2022 i livelli pre-Covid, contro il 36% di quelle che non adottano tale iniziativa. I molteplici profili positivi delle medie imprese non devono eludere le sfide importanti che restano sul campo.
La necessità di essere allineati ai requisiti ESG riporta l’attenzione sulla governance. Alcune buone pratiche hanno diffusione ancora limitata: il codice di autodisciplina è adottato dal 35,3%, la presenza di consiglieri indipendenti nel board è limitata al 24,8%. L’esistenza di un Ceo esterno alla famiglia ricorre nel 16,8% dei casi ed è associata a una formazione scolastica più avanzata (laurea o post-laurea nel 71,2% dei casi vs 49,7% per il Ceo familiare) e a un’età più contenuta (55,6 anni vs 59,9). Inoltre, sotto la spinta delle turbolenze dell’ultimo biennio, le medie imprese attribuiscono ampia priorità all’introduzione di nuove competenze manageriali (46,2%) e ritengono necessario imprimere un’accelerazione al passaggio generazionale (33%). Il proposito di realizzare acquisizioni fa capolino nel 34,4% delle agende degli imprenditori. Strumentale a quest’ultimo obiettivo, ma anche ai precedenti, appare l’opzione di aprire il capitale a nuovi soci finanziari o industriali (15,8%), fino a contemplare l’ipotesi di cessione integrale dell’azienda (7,3%). Queste iniziative sono coerenti con l’obiettivo di raggiungere una dimensione adeguata a competere con i concorrenti internazionali (formulato dal 55,3% delle imprese), dato che verso di essi le nostre medie imprese non percepiscono alcuna forma di inferiorità nel ‘saper fare’, ma un qualche ritardo nel ‘saper vendere’ (19,3% delle imprese). L’incertezza geopolitica mette a rischio la continuità delle forniture e le medie imprese intendono porvi rimedio attraverso un mix di diversificazione del numero dei fornitori (79,7%) e di aumento di quelli di prossimità (29,8%), anche nazionali (27,4%). Non pare invece praticata la riduzione dei fornitori agendo sulla loro fidelizzazione (12,2%) né la loro acquisizione per integrarli (4,6%). Appare quindi probabile un fenomeno di near-shoring dei fornitori. Il Report analizza anche le performance delle 595 medie imprese appartenenti alla filiera manifatturiera agroalimentare italiana che hanno dimostrato una grande resilienza in occasione della crisi dovuta alla pandemia da Covid-19. Tra il 2019 e il 2020 il fatturato totale è cresciuto dell’1,5%, merito soprattutto delle esportazioni (+3,6%); le vendite nazionali hanno chiuso con un +0,8%. Il 2021 ha consuntivato un +11% sul fatturato precedente e un +16% sulle esportazioni mentre, per il 2022, si prevedono incrementi del 5,1% per le vendite totali e del 4,9% oltreconfine. Naturalmente molto dipenderà dal contesto geopolitico in continuo mutamento che suggerisce una riorganizzazione della supply chain soprattutto alle imprese di questa filiera che, nel 46,7% dei casi, dichiarano di preferire le forniture di prossimità nazionali (contro il 27,4% formulato dalle imprese dell’universo).
(ITALPRESS).

 

Economia

Confcommercio, a Bologna le economie urbane del futuro al centro di “InCittà”

Pubblicato

-

BOLOGNA (ITALPRESS) – Dalla desertificazione commerciale alla mobilità sostenibile, dalle sfide demografiche alle politiche abitative. Sono questi i principali temi che animano la due giorni bolognese di “InCittà – Spazi che cambiano, economie urbane che crescono”, organizzata da Confcommercio a Palazzo Re Enzo, a Bologna. Un evento che ha preso il via questa mattina e a cui hanno partecipato anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il presidente della Regione Emilia-Romagna Michele de Pascale, in dialogo, tra gli altri, col sindaco di Bologna Matteo Lepore, il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga, il presidente di Confcommercio Bologna Enrico Postacchini e il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, che parlando dal palco ha detto: “Questo è il patto che proponiamo: istituzioni, imprese e cittadini, pubblico e privato insieme, per le città”. E ancora: “Questa è la nostra visione: città che crescono valorizzando l’impresa e imprese che fanno crescere le città”.
“Un’edizione sulla quale la confederazione ha investito e investirà – ha aggiunto il presidente di Confcommercio Bologna Enrico Postacchini – perchè in una città succede tutto, quello che c’è di bene e di male in una città si crea e si distrugge, la città è il cuore pulsante di una comunità”.
Piantedosi ha invece parlato dell’importanza del settore terziario: “Il terziario commerciale è una delle colonne portanti dell’economia italiana, e a Bologna, storicamente, questo valore è particolarmente evidente”. Il presidente dell’Emilia-Romagna Michele De Pascale ha invece sottolineato: “Accogliere Confcommercio qui a Bologna è un grande onore. E’ un tema che per l’Emilia-Romagna è centrale. La Regione in passato credo che abbia messo in campo una delle leggi più innovative sull’economia urbana, con gli hub urbani”. Hanno dato un contributo anche la presidente della Commissione speciale Ue sulla crisi degli alloggi, Irene Tinagli e il vice presidente della Commissione europea, Raffaele Fitto.
L’evento è stato un’occasione per parlare anche del delicato rapporto tra turismo e vivibilità dei centri storici e del ruolo della cultura e dell’intelligenza artificiale nella trasformazione urbana. Presentata, per l’occasione, un’indagine di Confcommercio sulla desertificazione commerciale nelle città, realizzata da Confcommercio in collaborazione con SWG, secondo cui gli italiani vogliono vivere in quartieri con più negozi di prossimità, luoghi non solo di acquisto e offerta di servizi, ma che costituiscono, insieme agli spazi verdi, il principale elemento che contribuisce alla qualità della vita urbana; ma rappresentano anche veri e propri attivatori di socialità (per il 64% degli italiani), garanzia di cura e pulizia degli spazi pubblici (62%), presidi di sicurezza (60%).
Il desiderio di avere più negozi sotto casa, per 2 italiani su 3, deriva dall’esigenza di avere più opportunità di scelta e ridurre gli spostamenti. Ma la presenza di attività commerciali incide anche sul mercato immobiliare: il valore di un’abitazione situata in un quartiere colpito dalla desertificazione commerciale scende del 16% con un differenziale complessivo che può arrivare al 39% rispetto a un immobile situato in un quartiere ricco di negozi. In ogni caso, negli ultimi 10 anni, gli italiani hanno percepito sempre più chiaramente le chiusure di attività economiche di quartiere, in particolare negozi di articoli sportivi, librerie, giocattoli (55%), abbigliamento, profumerie, gioiellerie (49%), arredamento e ferramenta (46%), alimentari (45%). Un fenomeno che, per la stragrande maggioranza degli italiani, genera un senso di tristezza e contribuisce al calo della qualità della vita.

– foto Italpress –
(ITALPRESS).

Leggi tutto

Economia

Foti “La manovra probabilmente ci farà rientrare dalla procedura di deficit aperta dall’UE”

Pubblicato

-

ROMA (ITALPRESS) – “L’Italia, con 3 mila miliardi e oltre di debito pubblico, ha spazi fiscali di bilancio molto limitati. Non è più il tempo di leggi di bilancio ‘spendi e spandi’, oggi è il tempo di manovre rigorose ma che portino una politica di investimenti redditizia. Non è detto che una legge di bilancio di 30 miliardi significhi che è fatta bene e quella di 18 miliardi sia una legge di bilancio fatta male. Perché da una parte si possono buttare via dei soldi, dall’altra si possono spendere quei soldi in modo produttivo che consenta alla nazione, come probabilmente ci permetterà di fare fin da quest’anno, di rientrare dalla procedura di deficit aperta dall’Europa”. Così Tommaso Foti, ministro per gli Affari Europei, il Pnrr e le Politiche di Coesione, nel corso di un incontro con gli studenti dell’Università Lumsa.

– Foto IPA Agency –
(ITALPRESS).

Leggi tutto

Economia

Bankitalia, nel terzo trimestre in crescita i prezzi di vendita delle abitazioni

Pubblicato

-

ROMA (ITALPRESS) – Nel terzo trimestre, secondo i dati della Banca d’Italia, le valutazioni sui prezzi di vendita delle abitazioni si sono rafforzate in gran parte del territorio nazionale, con una crescita più marcata nelle aree urbane del Nord-Est. I margini di sconto si sono ridotti e i tempi medi di vendita sono rimasti sui minimi storici. La quota di agenzie che hanno concluso almeno una compravendita è rimasta su valori elevati per il trimestre estivo. La domanda mostra segnali di recupero: il saldo negativo fra giudizi di aumento e diminuzione dei potenziali acquirenti si è attenuato. L’offerta di immobili continua invece a ridursi, con nuovi incarichi a vendere in ulteriore flessione. Le difficoltà di accesso al credito immobiliare si collocano su livelli molto contenuti.

In un contesto di condizioni creditizie complessivamente favorevoli, la quota di compravendite finanziate con mutuo e il rapporto tra prestito e valore dell’immobile hanno raggiunto i valori più elevati dalla metà del 2022. Sono significative le pressioni al rialzo sui canoni di locazione, su cui incide il fenomeno degli affitti brevi. Nel complesso le prospettive sul mercato immobiliare per il quarto trimestre dell’anno restano favorevoli.

– Foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

Advertisement

Leggi tutto
Advertisement

Italpress TV


Agenzia Creativamente Itinerari News Pronto Meteo
Casa e consumi by Altroconsumo

Primo piano

LombardiaLive24 by Agenzia Creativamente P. IVA 02607700180 COPYRIGHT © 2021-2025 ALL RIGHTS RESERVED: LOMBARDIALIVE24 BY AGENZIA CREATIVAMENTE.
Sito creato da Emanuele Bottiroli. © Tutti i diritti riservati. I nomi e i loghi delle testate giornalistiche edite da Agenzia CreativaMente Editore sono registrati presso il Tribunale di Pavia e la Camera di Commercio di Pavia. È vietato qualsiasi utilizzo, anche parziale, dei contenuti pubblicati, inclusi la memorizzazione, la riproduzione, la rielaborazione, la diffusione e la distribuzione degli stessi, su qualsiasi piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza preventiva autorizzazione scritta.