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L’ITALIA CHE NON VA: A 30 ANNI DALLA STRAGE DI VIA D’AMELIO L’AMAREZZA DEI FAMILIARI DELLE VITTIME

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Manifestazioni, dibattiti, mostre, spettacoli teatrali, fiaccolate: sono tante le iniziative organizzate in ogni parte della Sicilia e in altre regioni del Paese in memoria del giudice Paolo Borsellino e dei 5 agenti di scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) assassinati trent’anni fa nella strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992. “Paolo Borsellino, come Giovanni Falcone e altri magistrati, fu ucciso dalla mafia perché, con professionalità, rigore e determinazione, le aveva inferto un colpo durissimo, disvelandone la struttura organizzativa e l’attività criminale – ha ricordato il Capo dello Stato Sergio Mattarella -. La mafia li temeva perché avevano dimostrato che non era imbattibile e che la Repubblica era in grado di sconfiggerla con la forza del diritto”. Il fratello di Borsellino, Salvatore, invoca il silenzio al posto delle passerelle politiche, in questa giornata: sulle celebrazioni pesa infatti la recente sentenza del processo a Caltanissetta sul cosiddetto depistaggio (prescrizione per due poliziotti e assoluzione per il terzo) che ha creato amarezza tra i familiari delle vittime. Sono stati celebrati numerosi processi ma ancora attendiamo di conoscere tutti i nomi di coloro che hanno voluto le stragi del ’92-’93. In un Paese con una giustizia malata e bisognosa di cure urgenti per essere rianimata può capitare anche questo. 1992-93, oggi siamo nel 2022. Spiegatelo ai familiari delle vittime.

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