Cronaca
Minniti “La guerra può riattivare i nostri giacimenti di odio”
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2 anni fa-
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Redazione
ROMA (ITALPRESS) – “Stiamo vivendo ore cruciali, Hezbollah potrebbe pensare che il preannunciato e imminente attacco di terra a Gaza, con la possibile ondata di protesta e di rabbia che attraverserà le capitali arabe e colpirà il sentiment dei musulmani (sunniti e sciiti insieme), costituisca, anche dal punto di vista simbolico ed emotivo, il momento decisivo per schierarsi anche militarmente a fianco di Hamas. Si può anche dire che in questo quadro Hezbollah punta a far sembrare di essere stata trascinata nel conflitto”. Così, in un’intervista a Qn, Marco Minniti, presidente della Fondazione Med-Or, ex ministro dell’Interno, per anni autorevole guida politica dell’intelligence nei governi di centro-sinistra.
“Il conflitto diretto al confine del Libano – dice – preannuncia una guerra regionale, con il coinvolgimento anche delle Nazioni Unite di Unifil, con 1300 militari italiani che finirebbero dentro una situazione drammatica, ma, soprattutto, con un effetto domino che dal Libano può estendersi alla Cisgiordania e poi non sappiamo dove ci fermiamo”. Ed in merito a un possibile intervento diretto dell’Iran, “si tratta di un rischio capitale che aprirebbe scenari assolutamente imprevedibili, ma, al momento, non è sul tappeto anche perchè non ci sono prove dirette di un coinvolgimento dell’Iran nella preparazione dell’attacco. E, del resto, non casualmente gli americani hanno smorzato queste voci perchè capiscono che cosa significherebbe: un conto, insomma, è essere padrini politici di Hamas, un altro è avere partecipato concretamente all’operazione”.
“Israele – sottolinea Minniti – ha subito un atto di guerra con modalità tipiche del terrorismo della Jihad e di Islamic State: un orrore senza fine. Dunque, la risposta militare anche di una democrazia è giustamente legittima, ma si deve evitare che si tratti di una vendetta e il confine non è sempre facile da individuare, ma anche in guerra va mantenuto. Oltretutto Hamas è contraria all’evacuazione perchè vuole utilizzare la popolazione come scudi umani. E, d’altro canto, l’ingresso a Gaza degli israeliani non è solo molto impegnativo sul piano umanitario ma anche su quello militare perchè richiede battaglie casa per casa. Tutto questo tenendo conto che in questo momento si devono avere due priorità assolute: salvaguardare la vita degli ostaggi e evitare l’allargamento del conflitto”.
“Ci troviamo dentro una situazione senza precedenti dalla fine della Seconda guerra mondiale – aggiunge -. Abbiamo una guerra nel cuore dell’Europa, in Ucraina, che non è finita, anzi, e abbiamo un nuovo conflitto in Medio Oriente. Ma non c’è più nessuno che sta al volante nè come istituzione nè come Paese. Non c’è più qualcuno che tiene in mano il mondo: è una sensazione inedita. Ci sono grandi potenze, ma non ci sono più punti di riferimento assoluti, come sono stati gli Usa. Siamo in un mondo apolare”.
“Ci sono tre Paesi chiave – osserva Minniti – che possono svolgere un ruolo: il primo è l’Egitto e lo sta già svolgendo, il secondo è il Qatar che è il principale finanziatore di Hamas e contemporaneamente il major non-Nato Ally degli Stati Uniti, il terzo è la Turchia che naturalmente conosce molto bene Hamas e intende svolgere un ruolo simile a quello svolto per l’Ucraina. Soprattutto con il Qatar dobbiamo essere molto esigenti perchè faccia il massimo per la mediazione e la salvezza degli ostaggi”.
“L’attacco di Hamas a Israele – prosegue – è il segno di una profonda radicalizzazione con un evidente elemento di contrapposizione religiosa: il che può portare alla riattivazione di giacimenti di odio che nelle nostre società non sono stati mai totalmente bonificati. E’ significativo, nel caso francese, che il ragazzo che ha ucciso il professore sia un ceceno: il primo atto post attacco, paradossalmente, viene da un ragazzo proveniente dalla Cecenia e che si è radicalizzato in seguito alla guerra della Russia contro il suo popolo. A oggi, dunque, il punto non riguarda la possibilità che Hamas invii terroristi in Europa”.
Secondo Minniti il rischio è la riattivazione di giacimenti dell’odio, “certo. La riattivazione di lupi solitari che sono all’interno delle nostre società. E questo rende più difficile l’attività di prevenzione. E chiama in causa il modello di integrazione o, meglio, di non integrazione, soprattutto in Paesi di più antica immigrazione, come Francia, Regno Unito e Germania. I terroristi non sono arrivati con i barconi, ma sono i figli della vecchia Europa”.
“In Italia – spiega – abbiamo due cose importanti. La prima è che noi siamo stati l’unico Paese che ha sconfitto il terrorismo interno senza scendere a patti politici e senza derogare ai principi democratici. E siamo il Paese che non ha visto concretizzata nessuna minaccia negli anni di Islamic State. E questo perchè c’è un modello italiano di cooperazione tra intelligence, forze di polizia e magistratura che ha funzionato e che ci dobbiamo tenere stretti”.
“Le democrazie sono state sfidate già nell’attacco all’Ucraina. Oggi la sfida è ancora più imminente e inquietante: il 2024 sarà un anno elettorale impegnativo per l’Europa e durissimo per gli Stati Uniti. La scommessa degli autocrati è che le democrazie possano ripiegarsi su ste stesse. In Israele è successo e abbiamo visto come Hamas abbia approfittato delle turbolenze e della instabilità interne. Noi abbiamo una prova davanti: dimostrare che le democrazie sono forti, vitali e capaci di tenere alta la guardia e di reagire efficacemente. Possiamo riuscire a farlo. Il rischio opposto è quello di essere ‘sonnambulì, come racconta Christopher Clark nel bellissimo libro The Sleepwalkers: How Europe Went to War in 1914, in cui spiega come gli Stati europei precipitarono in maniera preterintenzionale nella Prima guerra mondiale”, conclude Marco Minniti.
– Foto Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).
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MILANO (ITALPRESS) – “Il dolore al ginocchio diventa un campanello d’allarme se si presenta anche a riposo, cioè quando non si sta caricando il peso sulle articolazioni. Un dolore di questo tipo impedisce di eseguire le normali azioni quotidiane e, quando non bastano più gli antinfiammatori o la terapia conservativa, è necessario rivolgersi a un ortopedico per stabilire il percorso di cura migliore, eventualmente chirurgico”. A sottolinearlo è Francesco Verde, primario di Chirurgia Protesica Mininvasiva e Robotica di Anca e Ginocchio presso IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. La chirurgia diventa infatti necessaria per risolvere alcune problematiche legate al ginocchio artrosico. “Si tratta di una patologia degenerativa della cartilagine che riveste le superfici articolari. Quando si consuma la cartilagine, le superfici articolari entrano in contatto, quindi l’osso scivola sull’osso, e questo scatena il dolore e la limitazione funzionale. Questa condizione viene definita gonartrosi, cioè un’artrosi a carico dell’articolazione del ginocchio”, spiega Verde. Nella fase iniziale, l’artrosi al ginocchio viene curata “con una terapia conservativa basata sui farmaci, sulla terapia fisica e sulle infiltrazioni, che possono essere di acido ialuronico, di piastrine o di cellule staminali. Quando queste non funzionano più, allora si ricorre alla chirurgia e si innestano le protesi di ginocchio”. Esistono diversi tipi di impianti protesici per il ginocchio e scegliere quello giusto per ciascun paziente è fondamentale. Si può spaziare “dalle protesi monocompartimentali, che possono essere utilizzate da sole o in associazione alle protesi totali a conservazione di entrambi i crociati, a quelle a conservazione del solo crociato posteriore, o quelle a sacrificio anche del crociato posteriore. La scelta è basata su due criteri fondamentali”, precisa il primario. “Quanto è grave l’artrosi che interessa il ginocchio e quali sono le esigenze funzionali del paziente, cioè che movimenti ha bisogno di fare. E’ chiaro che uno sportivo ha delle esigenze diverse rispetto a una persona anziana. Tenendo in considerazione anche questo aspetto è possibile selezionare anche il tipo di impianto”. Detto questo, prosegue, “un buon risultato dipende dalla collaborazione dell’intero team che lavora intorno a questa patologia, dagli anestesisti, che settano insieme a noi un percorso fast track, alla partecipazione dei fisiatri e dei fisioterapisti, fondamentali per ottenere il miglior esito finale”. L’Unità, infatti, ha approntato un percorso Fast Track tra i più innovativi in Italia che comprende: tecniche chirurgiche mininvasive, apparecchiature dedicate al recupero veloce con riduzione del dolore, assistenza post operatoria e programmi riabilitativi personalizzati. Questo per consentire al paziente di rimettersi in piedi post intervento già dopo 4-6 ore e di essere immediatamente affiancato da un protocollo accelerato di rieducazione funzionale. “Abbiamo delle protesi a conservazione di entrambi i crociati che permettono a degli sportivi di alto livello di tornare pienamente in attività”, prosegue il dottor Verde. “Dopodichè l’intervento assistito della chirurgia robotica ci permette di aggiungere due vantaggi sostanziali. Prima di tutto, è possibile pianificare tridimensionalmente, quindi in modo molto più realistico e preciso, e, secondo, permette di realizzare l’impianto in maniera perfetta e questo si traduce inevitabilmente in un risultato migliore”, conclude.
– foto IRCCS Ospedale San Raffaele-
(ITALPRESS).

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